Credit: ESA/NASA/SOHO/SDO/GSFC
Nata 4,5 miliardi di anni fa in un ambiente polveroso e turbolento, dopo i primi milioni di anni si ritirò nella Nube di Oort, dove visse la sua vita per diversi miliardi di anni.
10.000 anni fa, l'incontro casuale con un corpo più grande, la spinse ad intraprendere il suo primo viaggio verso il Sistema Solare interno.
Il 21 settembre 2012, due astronomi russi si accorsero di lei e fu catalogata come C/2012 S1 ISON.
Da allora il suo percorso è stato imprevedibile ed emozionante e pochi giorni prima del perielio, ossia del momento più pericoloso dell'insidioso viaggio, ha iniziato a sfoggiare tutta la sua bellezza.
Venerdì 28 novembre sono state ore di apprensione, in cui la ISON è riuscita a tenere sulle spine non solo gli addetti ai lavori e gli appassionati, ma è entrata nella vita di tutti, attraverso i media.
L'abbiamo seguita con le immagini delle sonde della NASA STEREO, prima, e SOHO, dopo, fino a quando non è sparita dietro al coronografo LASCO. Sono seguiti abbondanti minuti di blackout durante i quali della ISON non si aveva più alcuna traccia. Così, tutti l'avevano data per spacciata quando, circa due ore dopo il perielio, una leggera scia apparse di nuovo al di la del Sole.
Esultazione, agitazione e perplessità si sono alternate nelle ore successive.
In un primo momento, la ISON sembrava riacquistare certo vigore per poi iniziare a dissolversi di nuovo.
Non è ancora chiaro se quel che è rimasto sia un piccolo nucleo o solo alcuni frammenti ma di certo deve aver perso molta della sua massa (e anche la bellissima coda). Ciò, si nota molto bene nella gif-movie qui a sinistra (Credit: NRL/NASA) realizzata con le immagini della sonda STEREO Ahead: gran parte della ISON finisce in quel pulviscolo sparato lontano dal Sole.
Ma in molti restano convinti che la cometa sia iniziata a svanire prima ancora del perielio (ne avevamo parlato nel nostro report completo "LA COMETA ISON SOPRAVVIVE (IN PARTE) E SUPERA IL PERIELIO").
Tuttavia, per sapere come stanno realmente le cose, dobbiamo aspettare il telescopio spaziale Hubble che la fotograferà nuovamente intorno alla metà / fine di dicembre.
Al momento, quel che resta della cometa è un residuo debole e diffuso e nonostante tutti vorrebbero sapere se sarà ancora visibile ad occhio nudo, la sua evoluzione dei prossimi giorni è ancora ignota.
Nelle immagini LASCO di fine novembre ma la ISON aveva magnitudine +5 in dissolvenza ma converrà aspettare almeno il 6 / 7 dicembre per provare ad osservarla di persona.
Rimane però, ancora un mistero da svelare: quando la ISON è sparita dietro al coronografo della sonda SOHO, ci si aspettava di seguire la sua corsa con le immagini SDO (Solar Dynamics Observatory) ma così non è stato. Nelle foto della sonda, nessuna traccia della cometa.
Eppure, la ISON non ha cambiato rotta e gli scatti erano stati pianificati per documentare il perielio in modo esemplare.
SDO è stata progettata per offrire una visione senza precedenti della corona solare.
L'Atmospheric Imaging Assembly (AIA) a bordo di SDO vede le comete attraverso la luce proveniente dagli ioni di ossigeno, circostanza fortunata perché le comete sono notoriamente ricche di ghiaccio d'acqua.
Così il team, basandosi anche sulle precedenti esperienze, come ad esempio la cometa Lovejoy nel 2011, ha ipotizzato quattro bande passanti con cui effettuare le riprese, per emissione da O IV , O V e O VI, ossia di atomi di ossigeno con 3, 4 o 5 elettroni rimossi.
Gli scienziati hanno dovuto anche stimare la luminosità della ISON assumendo la sua composizione e quindi quella del materiale rilasciato, e valutando la densità della corona solare con la quale la cometa avrebbe interagito.
La sonda, infatti, non ha un coronografo e le fotocamere devono compensare l'abbagliante luce solare.
Ma i telescopi AIA hanno un campo visivo piuttosto ampio per cui sarebbe stato impossibile mancare il target. E allora, perché non SDO non l'ha fotografata?
Due sono le ipotesi:
- la ISON potrebbe essere una "strana" cometa, così, mentre sembrava "normale" durante il viaggio nel Sistema Solare, forse era a corto di ghiaccio poco prima del perielio (in effetti, una composizione finale diversa da quella immaginata era quanto avevamo ipotizzato)
- la stima della densità della corona non era corretta.
Le reazioni che causano ioni di ossigeno, hanno bisogno di elettroni veloci. Ma se la densità degli elettroni veloci è bassa, allora la reazione richiede più tempo, tempo durante il quale gli ioni ossigeno si allontano ulteriormente dalla cometa, diventando ancora meno densi e rendendo più difficile la ripresa.
Oggi, la cometa sungrazing, o quel che ne resta, che ha eluso la tecnologia, sta comunque continuando il suo viaggio verso la Terra: probabilmente non sarà la regina del cielo di Natale, come sperato, ma ha saputo dar spettacolo regalando grandi momenti di scienza e forse l'appellativo di "Cometa del Secolo", in fondo, se lo è meritato.