Le sonde e i rover che hanno esplorato e stanno esplorando Marte hanno dimostrato che sulla sua superficie un tempo scorreva acqua in abbondanza, tanto da poterne vedere ancora oggi le prove inequivocabili. Ma hanno anche scoperto che il mantello, ossia la zona immediatamente inferiore alla crosta che circonda il nucleo, sfoggia ancora un enorme pennacchio attivo che può provocare terremoti ed eruzioni vulcaniche. Tuttavia, il pianeta può essere attualmente considerato abbastanza stabile, geologicamente parlando. Circa la metà della sua superficie sembra avere più di 3,5 miliardi di anni e ciò suggerisce che il riciclaggio della crosta non è avvenuto in modo estensivo sul pianeta. Questa nuova ricerca ha, quindi, cercato nel passato per scoprire quanto fosse attivo Marte in origine.

Tradizionalmente, il Pianeta Rosso è noto per i suoi grandi vulcani a scudo simili a quelli delle Hawaii. Ma finora non era chiaro se avesse ospitato anche vulcani esplosivi, come quelli che si formano sulla Terra a causa del riciclaggio della crosta.

Il team ha concentrato i propri sforzi sulla regione Eridania, situata nell’emisfero meridionale del pianeta, che presenta resti dell'antica crosta marziana e diverse strutture vulcaniche.
"Varie caratteristiche della regione Eridania hanno attirato l'attenzione", ha detto Aster Cowart, membro del team e geologo planetario del Planetary Science Institute. "La spettroscopia a raggi gamma mostra che questa è una regione della crosta con una composizione particolare, i dati sulla gravità hanno mostrato che è generalmente meno densa e più spessa rispetto al resto della crosta marziana e i dati magnetici mostrano che si tratta di una crosta intensamente magnetizzata".

La ricerca, condotta da un piccolo team internazionale di scienziati, geologi e astronomi, è stata pubblicato sulla rivista Nature Astronomy.

 

Vulcanesimo passato

Studiando i dati raccolti finora su Marte, in particolare quelli provenienti dal Mars Global Surveyor, dal Mars Odyssey e dal Mars Reconnaissance Orbiter (MRO), gli scienziati hanno trovato 63 strutture vulcaniche, tutte abbastanza antiche tanto da offrire una finestra sul passato. Hanno diviso le caratteristiche in quattro categorie principali: quelle con cupole vulcaniche, stratovulcani, scudi piroclastici e caldere.

Lo studio ha mostrato che, nel complesso, la geografia della regione suggerisce che il pianeta attraversò un periodo vulcanico attivo e ciclo crostale associato circa 3,5-4 miliardi di anni fa.

Secondo gli autori, il riciclo della crosta era probabilmente dovuto alla cosiddetta tettonica verticale (cioè spinte e cedimenti), una forma di movimento crostale che sulla Terra su il precursore della tettonica a placche,  nel periodo Archeano, più di 3 miliardi di anni fa. 
"Prima dello sviluppo della tettonica a placche, era difficile riciclare la crosta nel mantello perché la composizione della crosta era più uniforme, la crosta era più rigida ed era galleggiante rispetto al mantello", ha detto Cowart. "Tuttavia, la lenta incorporazione dell'acqua nei livelli più profondi della crosta cominciò a causare trasformazioni minerali che resero la crosta profonda più densa".

Cowart ha spiegato che quando una parte sufficiente della crosta inferiore della Terra subì queste trasformazioni minerali, iniziò a scendere verso il basso, nel mantello, un processo chiamato subduzione. Ciò spinse i minerali ricchi di acqua, che si erano formati vicino alla superficie terrestre, più in profondità nella crosta, dove contribuirono a formare magmi galleggianti. Questi, a loro volta, favorirono il sollevamento di altre regioni.

Queste attività produssero un paesaggio dominato da grandi bacini nei punti in cui la crosta cedeva, catene montuose dove la crosta si sollevava verso l’alto e rocce vulcaniche con una composizione più ricca di silice rispetto alle rocce provenienti dal mantello. Tuttavia, il nostro pianeta è stato altamente modificata dalla successiva attività geologica e quindi, le prove più antiche sono andate perdute. Ma "questo è esattamente ciò che vediamo nella regione dell'Eridania", ha detto Cowart. Pertanto, esplorare altri pianeti come Marte può aiutare a rivelare i misteri del primo riciclaggio della crosta sia sul Pianeta Rosso che, per analogia, sulla Terra primordiale.

Finora, la tettonica a placche non era stata rilevata su nessun altro pianeta del Sistema Solare.

"Sappiamo da decenni che Marte ha dei vulcani ma la maggior parte dei vulcani riconosciuti corrisponde ai grandi vulcani a scudo basaltico simili a quelli che compongono le Hawaii," ha detto il professor Joseph Michalski, geologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Hong e autore principale del documento. "In questo lavoro mostriamo che l'antica crosta presenta molti altri tipi di vulcani, come duomi di lava, stratovulcani, caldere e grandi scudi di cenere, non di lava".
"Inoltre, la maggior parte degli scienziati vede Marte come un pianeta composto da basalto, che ha un basso contenuto di silice e rappresenta una scarsa evoluzione della crosta ma questi vulcani hanno un alto contenuto di silice, il che significa che si sono formati da un complesso processo di evoluzione del magma non conosciuto prima".

Il professor Michalski ha aggiunto: "Marte contiene pezzi fondamentali del puzzle geologico che ci aiutano a comprendere non solo quel pianeta, ma anche la Terra".
"Il vulcanismo marziano è molto più complesso e diversificato di quanto si pensasse in precedenza
".


Vulcani sottomarini

L'analisi mostra anche prove che l'attività vulcanica si verificò sotto l'acqua, il che suggerisce la possibilità che la vita sia emersa e poi si sia estinta (forse!) quando il pianeta perse la sua atmosfera.
"Le strutture vulcaniche si verificano all'interno e in prossimità del bacino Eridania", scrivono gli autori, "Le morfologie delle bocche vulcaniche sono molto diverse nel fondo del bacino perché si sono formate sotto circa 400–1.200 m di acqua nel mare Eridania, a 20–50 bar di pressione".

"Fonti vulcaniche di lunga durata accanto ad acqua abbondante potrebbero aver alimentato sistemi idrotermali che avrebbero potuto favorire la vita", ha detto Cowart. "Per lo meno, questi risultati ci forniscono un numero maggiore di luoghi in cui possiamo cercare prove di vita" su Marte.