Premessa
(su costo, rischio ed obsolescenza dei telescopi spaziali giganti)
Del possibile, ulteriore ritardo nel lancio del James Webb Telescope (JWST) avevamo parlato oltre 3 mesi fa e i recenti risultati dei lavori della commissione apposita istituita dalla NASA dopo le ultime difficoltà tecniche (la "Independent Review Board") sono stati una vera doccia fredda: invece di slittare di un solo anno, adesso il lancio è stato posticipato di quasi 2 anni, alla fine di Marzo 2021 (a meno di ulteriori sorprese!). Si tratta del decimo rinvio di un telescopio che, secondo l'idea iniziale, doveva decollare nel 2007 ad un prezzo inferiore al miliardo di dollari e che adesso si prevede costerà oltre 10 miliardi (considerando anche il contributo economico di Europa e Giappone, nonchè i costi legati al nuovo rinvio); è un prezzo faraonico, che supera di circa 4 volte quello già astronomico del telescopio Hubble (HST) e che ha già costretto l'agenzia spaziale americana a deviare i fondi previsti per altre missioni altrettanto importanti. Con una battuta, potremmo dire che, per ora, l'unica cosa (es)orbitante del JWST è il costo!
A questo punto, bisogna onestamente riconoscere che, al di là dei possibili errori politici e di cattiva gestione del progetto, c'è una oggettiva difficoltà nel costruire e lanciare telescopi giganti con le attuali tecnologie. Tanto più che, investendo un capitale così grande in un unico osservatorio di grandi dimensioni, il rischio è elevatissimo: si pensi a cosa succederebbe se qualcosa andasse storto durante il lancio o il trasferimento nella zona di librazione L2 e, soprattutto, durante la fase di apertura del parasole e delle ottiche. Del resto, l'esperienza del difetto nello specchio di Hubble, scoperto solo dopo il lancio, ci dovrebbe avere insegnato qualcosa: se non si fosse intervenuti per correggere il difetto (e per aggiustare anche qualche guasto nonchè aggiornare gli strumenti nel piano focale), non avremmo mai visto gran parte dei risultati scientifici ottenuti in 28 anni di onorato servizio! In quel caso fu possibile porre rimedio, anche se con ulteriore aggravio economico, effettuando ben 5 missioni Shuttle dedicate ma, nel caso del Webb Telescope, qualsiasi serio inconveniente si rivelerebbe catastrofico perchè non riparabile, essendo il telescopio posto non in orbita bassa ma in un punto a 1,5 milioni di km, dunque irraggiungibile con i mezzi attuali. Anche qui l'esperienza di Gaia, per fortuna non così drammatica, mostra che qualsiasi difetto/malfunzionamento è difficile se non impossibile da risolvere in quella collocazione e bisogna conviverci cercando di ridurre al massimo l'impatto sulle osservazioni.
In aggiunta a queste considerazioni sui costi e sull'affidabilità, c'è anche da considerare un altro aspetto legato alla obsolescenza e alla vita limitata dello strumento: ultimamente c'è stato un nuovo impulso alla costruzione di telescopi giganti a Terra come l'europeo EELT e gli americani GMT e TMT. Anche questi "mostri" entreranno in servizio nel corso del prossimo decennio e, pur essendo un ordine di grandezza meno costosi del telescopio Webb, per certi versi avranno caratteristiche nettamente superiori ad esso! Questo grazie alla loro enorme superficie di raccolta e all'uso di ottiche adattive sempre più sofisticate, che si tradurranno in sensibilità e risoluzione nettamente migliori almeno nella banda del vicino infrarosso! Senza contare il fatto che, a causa dei molti rinvii di JWST, gli strumenti installati sui telescopi terrestri saranno tecnologicamente più evoluti; anche qui, l'impossibilità di raggiungere il JWST gioca a suo sfavore, precludendo un aggiornamento della strumentazione come invece fu fatto più volte su HST. Purtroppo questo discorso si applica anche a tutto il resto del sistema, costituito da innumerevoli componenti soggette a guastarsi nel tempo; non potendole riparare in orbita, questo limita drasticamente la vita prevista di JWST (5-10 anni) e quindi anche la sua produttività scientifica sarà limitata rispetto a HST o ai telescopi terrestri.
Dispiace ammetterlo, ma ormai è evidente che, nonostante le continue celebrazioni mediatiche e le conseguenti grandi aspettative (anche queste alimentate per giustificare/nascondere spese e rinvii), il James Webb Telescope si preannuncia come un fallimento: nella migliore delle ipotesi, sarà una "montagna" finanziaria che partorirà un "topolino" scientifico... So che molti non saranno d'accordo con queste affermazioni e io stesso mi auguro di sbagliare al riguardo, ma ho l'impressione che sia questa la conclusione logica e oggettiva dopo anni di attese e delusioni continue.
Verso un nuovo paradigma
Fatte queste premesse, è chiaro che per garantire una maggiore competitività, fattibilità e affidabilità ai futuri telescopi spaziali bisogna stravolgere l'idea tradizionale di strumenti "monolitici" sempre più grandi e complessi, adottando una filosofia completamente diversa che faccia tesoro sia delle esperienze passate che delle tecnologie emergenti, traendo il massimo vantaggio dall'operare fuori dall'atmosfera. Una via, già imboccata da diversi anni, consiste nel realizzare strumenti più piccoli e "specializzati", con obiettivi ristretti concentrati su un particolare vantaggio derivante dall'osservazione extra-atmosferica. Ne sono un esempio, naturalmente, i numerosi telescopi che operano in bande lontane dallo spettro visibile, completamente bloccate dall'atmosfera (infrarosso medio-lontano, ultravioletto, raggi X e gamma); gli esempi più recenti in questo senso si chiamano Plank, Herschel, Spitzer, Galex, Chandra, XMM-Newton, Integral, Agile e Fermi.
Limitandoci alla banda visibile, poi, i celebri Kepler e Gaia hanno sfruttato al massimo l'eccezionale stabilità fotometrica e posizionale che solo l'osservazione dallo spazio può garantire, allo scopo di rivelare transiti di esopianeti e fornire misure astrometriche ultra-precise (e non solo). Sul fronte invece della risoluzione e della sensibilità, come abbiamo visto, costi e complessità giocano nettamente a favore di strutture a terra, già ora competitive rispetto a HST e, in futuro, migliori del JWST. La scorciatoia potrebbe essere quella di aumentare enormemente superficie di raccolta e "baseline" (cioè risoluzione) tramite "trucchi" impossibili o difficili da realizzare con i telescopi a Terra. Ad esempio, parlando solo di risoluzione angolare, i tentativi fatti per aumentare la "baseline" tramite interferometri che combinano la luce raccolta da più telescopi hanno avuto finora applicazioni molto limitate (si pensi all'europeo VLTi) sia per la complessità che per l'enorme disturbo dovuto alle distorisioni atmosferiche sul fronte d'onda. In linea di principio, nello spazio molti aspetti si semplificano e dovrebbe essere relativamente più facile gestire una flotta di piccoli telescopi separati che combinano i fasci di luce in un unico "fuoco", producendo risoluzioni straordinarie anche su oggetti relativamente estesi e non solo su regioni ristrette. Questa idea è alla base di diversi progetti e anche il sottoscritto si è divertito, anni fa, ad estrapolarli all'estremo, come racconterò nella seconda parte, insieme alla possibilità di realizzare telescopi giganti con una struttura modulare, che si auto-assembla nello spazio (un concetto innovativo recentemente preso in considerazione dalla NASA).
Ma andiamo per ordine, parlando prima di alcuni progetti a più breve scadenza che dovrebbero seguire il JWST. Si tratta di concetti sviluppati nell'ambito della attuale "Decadal Survey in Astronomy and Astrophysics", organizzata dal National Research Council (NRC) e che si concluderà nel 2020 con la scelta di un candidato.
Luvoir (Large UV/Optical/IR surveyor)
Questo progetto NASA assomiglia per molti versi al Webb e può essere considerato il suo successore. Trattasi di un telescopio con specchio principale segmentato di 15 metri (ma è anche prevista una versione ridotta da 8 metri) e altri 3 specchi di cui uno deformabile, in modo da avere un ampio campo di vista e una elevata stabilità di puntamento. Anch'esso sarà destinato ad "aprirsi" in L2, compreso il grande parasole; come suggerisce il nome, lavorerà non solo nel vicino infrarosso ma anche nel visibile e nell'ultravioletto fino a 200 nm (e questa è una importante differenza rispetto al JWST); in quest'ultima banda, la risoluzione raggiungerebbe 2,7 millisecondi d'arco (mas) per pixel, contro i 40 mas/pixel della "Wide Field Camera 3" installata su Hubble.
Rendering di Luvoir in configurazione operativa (disegno preliminare) - Credit: NASA/ASD/GSFC
Il lancio è attualmente previsto per la seconda metà del prossimo decennio ma, vista l'esperienza di JWST (e per non creare competizione diretta con esso), è probabile che alla fine slitterà all'inizio degli anni '30. Il vettore dovrà essere un lanciatore pesante della classe Delta-heavy, Falcon-Heavy o Ariane-5 ma si sta considerando anche la possibilità di usare il nuovo sistema di lancio SLS in fase di sviluppo, il che garantirebbe un alloggiamento più ampio (diametro di 8,5 o addirittura 10 metri contro i 5 metri dei precedenti) e una capacità di carico nettamente maggiore (fino a 50 tonnellate in L2). Inutile dire che, per quanto affascinante nelle prestazioni e nell'aspetto, questo progetto risentirà di tutte le limitazioni del JWST e rischia di seguirne lo stesso destino in termini di rinvii, affidabilità e costi esorbitanti (già ora stimati in 3-5 miliardi di dollari).
Telescopio spaziale "Origins"
Anche questo progetto americano ricorda lo schema di JWST e in effetti lavorerà nella stessa regione dell'infrarosso medio e lontano, ma con alcune differenze. Lo specchio principale, costituito da 37 segmenti, misura poco più di 9 metri ed ha un disegno ottico "fuori asse" che evita l'ostruzione da parte dello specchio secondario e dei supporti; questo migliora l'immagine di diffrazione e il rapporto segnale/rumore, fondamentale per la rivelazione dei pianeti extrasolari. Con gli strumenti raffreddati attivamente a soli 6 K, si prevede che sarà 100 volte più sensibile di Spitzer e con una risoluzione 10 volte migliore nell'infrarosso medio. I principali campi di indagine saranno lo studio di protopianeti, le galassie remote e la cosmologia, senza disdegnare la ricerca e lo sudio di oggetti trans-nettuniani nel Sistema Solare..
Rendering di Origins - Credit: NASA/JPAC/Caltech
HabEx con Starshade
Questo è un concetto di "Habitable Exoplanet Observatory" basato su un telescopio a grande apertura (simile ad Hubble ma con specchio di 4 metri); per bloccare la luce di ciascuna stella e studiarne i pianeti, potrebbe utilizzare due diverse tecniche. La prima sfrutta il classico coronografo, sebbene evoluto e con il supporto di uno specchio deformabile per correggere il fronte d'onda. L'altro concetto, più innovativo e su grande scala, richiede l'ausilio di un enorme schermo circolare fatto con dei "petali" che si apriranno nello spazio, a mò di fiore o di vela solare; posizionandosi a 50mila km dal telescopio, questo "starshade" ampio oltre 60 metri coprirà fisicamente il disco della stella lasciando intravedere i pianeti attorno ad essa. L'allineamento stella-schermo-telescopio sarà garantito da motori a ioni installati su quest'ultimo, il tutto naturalmente sempre nella zona di librazione L2.
Rendering di HabEx con, a sinstra, lo "StarShade" - Credit: NASA/JPL
SIM e Terrestrial Planet Finder (TPF)
Questo è un progetto più interessante perchè innovativo, anche se purtroppo cancellato. Nel 2015 la NASA prevedeva il lancio della Space Interferometry Mission (SIM), che, combinando interferometricamente la luce di due telescopi distanti 10 metri, avrebbe effettuato misure astrometriche così precise da rivelare la perturbazione gravitazionale causata da pianeti di tipo terrestre in orbita attorno a stelle vicine. La missione successiva, TPF (Terrestrial Planet Finder), avrebbe poi osservato direttamente questi candidati utilizzando uno speciale coronografo e combinando la luce raccolta da 4 specchi di 3,5 metri, ciascuno all'interno di un veicolo separato. Questa luce infrarossa sarebbe stata inviata verso una quinta sonda (il ricombinatore), in modo da far interferire distruttivamente la luce della stella centrale e mettere in evidenza il debole segnale dai pianeti circostanti. Il sistema avrebbe viaggiato in formazione su un'orbita solare simile a quella terrestre e si sperava di poter rivelare, nello spettro dei pianeti, molecole che suggerissero la presenza di forme di vita (CO2, H2O e O3).
Rappresentazione artistica del TPF - Credits: NASA
Anche l'ESA aveva allo studio un progetto simile, Darwin, pure lui cancellato. In ogni caso, l'idea di far volare un interferometro nello spazio verrà realizzata con il progetto europeo LISA, anche se in quel caso ad interferire sarà la luce di laser artificiali e lo scopo sarà la rivelazione di onde gravitazionali a bassa frequenza, utilizzando 3 navicelle poste a ben 2,5 milioni di km una dall'altra.
Riferimenti:
https://en.wikipedia.org/wiki/Wide_Field_Camera_3
https://arxiv.org/pdf/1806.10634.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Terrestrial_Planet_Finder
https://origins.ipac.caltech.edu/page/technology
https://www.jpl.nasa.gov/habex/
https://en.wikipedia.org/wiki/Laser_Interferometer_Space_Antenna