La cometa Wild 2 è nata oltre Nettuno ma nel 1974 la gravità di Giove alterò la sua orbita, spingendola verso la Terra.
La sonda della NASA Stardust, lanciata nel 1999, la incontrò nel 2004, catturando campioni di polvere cometaria in una apposita struttura spugnosa e porosa (aerogel di silicio) formata per il 99.9% del suo volume da vuoti. Sul lato opposto del vassoio, invece, la sonda aveva raccolto particelle di polvere interstellare catturate durante i suoi sette anni di viaggio e i quasi 5 miliardi di chilometri percorsi.
Il 15 gennaio 2006, il suo prezioso carico tornò sulla Terra, atterrando nel deserto dello Utah.

La maggior parte delle analisi condotte finora sui grani si sono svolte con immagini ottiche, concentrandosi solo su quelli di una certa dimensione. Ma quando le prime particelle si sono imbattute nell'aerogel alla velocità di 6 chilometri al secondo, hanno scavato forme complesse simili alla scia lasciata da una goccia che scivola sul parabrezza dell'auto, con un bulbo più grande nella zona di impatto. La punta, cioè la fine, della traccia sarebbe proprio la zona più interessante, quella dove potrebbe essersi fermato il grano.

Grani di polvere cometaria rimasti imprigionati nell'aerogel

Grani di polvere cometaria rimasti imprigionati nell'aerogel.

Il team, guidato da Amanda White del American Museum of Natural History di New York, ritiene che all'interno di queste tracce possano trovarsi dei residui di cometa, schiacciati e fusi nell'aerogel. Ma qual era la loro dimensione, consistenza e composizione originaria?
"Siamo in grado di stimare le dimensioni della particella originale solo guardando il foro di entrata nella traccia. Ma pensiamo di poter fare di meglio", ha detto White, anche se la ricostruzione è complicata perché i resti sono parziali.

"Nessuno degli elementi volatili, nessun gas o ghiaccio che sappiamo essere sulla cometa, ha fatto ritorno sulla Terra. Sono tutti evaporati o sublimati. Potremmo avere qualche residuo nelle pareti delle tracce ma per la maggior parte, è rimasto solo materiale roccioso".
"L'idea è di fare qualche simulazione con gas e ghiaccio per vedere se si creano forme analoghe a quelle che vediamo".

Per eseguire la scansione dell'aerogel e ricostruire la forma precisa delle tracce, il team ha utilizzato un microscopio confocale che permette di ricavare diverse sezioni del campione le quali, impilate una sull'altra, consentono di ricostruire l'immagine 3D. In aggiunta, ha analizzato la composizione chimica del materiale intrappolato lungo le pareti della traccia con un sincrotrone, un acceleratore di particelle che rilascia potenti raggi X.

Scansione 3D della traccia con microscopio confocale e mappa degli elementi rilevati con raggi X di sincrotrone

In alto, scansione 3D della traccia con il microscopio confocale; in basso, mappa degli elementi rilevati con raggi X di sincrotrone (in questo caso ferro).

Ora, il team ha in programma di integrare le analisi con uno spettrometro Raman, applicato direttamente al microscopio confocale, che potrà rivelare una chimica ancora più complessa rispetto ai raggi X.

Il nuovo lavoro è stato presentato in occasione del 227° incontro dell'American Astronomical Society in Florida ed apparso in un report sulla BBC.