La Sputnik Planum è sempre stata una delle zone più enigmatiche.
E' considerata giovane in termini geologici perché priva di crateri: il pavimento è composto da cellule ghiacciate di azoto dai contorni irregolari, in cui il metano ha colmato le lacune; decorata da increspature simili a dune, texture a "pelle di serpente" e "fossette".
Si trova ad una quota inferiore rispetto all'area circostante ma le cellule poligonali che la compongono, con diametri tra i 16 ed i 48 chilometri, hanno una topografia: osservate con un'illuminazione radente, mostrano un centro rialzato e bordi increspati, con variazioni complessive di altezza di circa 100 metri.
Tra tutti i tipi di ghiaccio che coprono la superficie di Plutone, l'azoto è il più volatile: quando sublima a -235 gradi Celsius, si forma una sottile atmosfera in equilibrio con il serbatoio congelato sulla superficie, per lo più concentrato appunto nella Sputnik Planum, dove sono presenti anche piccole quantità di monossido di carbonio. Il metano ghiacciato, invece, è presente nell'emisfero settentrionale, tranne che all'equatore.
Studi precedenti hanno ipotizzato grandi quantità di azoto congelato a qualche chilometro di profondità sotto la superficie: questo, riscaldato dal modesto calore interno del pianeta nano, riuscirebbe a risalire e a galleggiare sotto forma di grandi macchie prima di raffreddarsi e sprofondare di nuovo, secondo un moto convettivo simile ad una lava lamp (lampada di lava).
Ora, però, grazie ai dati ed alle osservazioni raccolte da New Horizons il 14 luglio 2015, il team ha sviluppato un modello in grado di simulare i cicli di azoto, metano e monossido di carbonio nel corso degli ultimi 50.000 anni di storia del pianeta nano, includendo anche previsioni per il futuro.
La simulazione mostra che non esiste una riserva sotterranea così consistente di azoto congelato ma il ghiaccio viene intrappolato nella Sputnik Planum grazie all'equilibrio solido-gas dell'azoto stesso. Nella parte inferiore del bacino, la pressione dell'atmosfera, e quindi di azoto gassoso, aumenta e la corrispondente temperatura di brina è maggiore che al di fuori della pianura, permettendo all'azoto di condensare in ghiaccio. L'azoto si accumula, quindi, inevitabilmente nel bacino, formando così una riserva permanente. Un domani le gelate stagionali scompariranno lentamente tanto che il cuore subirà qualche cambiamento, un po' come un battito cardiaco tanto per rimanere in tema.
"Metà cuore giace all'interno di un ghiacciaio davvero massiccio che non è influenzato dai cambiamenti stagionali, nato probabilmente insieme al bacino e resterà lì anche in futuro", ha detto Tanguy Bertrand, co-autore del documento. "Tuttavia, scorrerà e si ritrarrà per un paio di centinaia di chilometri con il tempo, erodendo e modellando le montagne che lo circondano".
Observed glacier and volatile distribution on Pluto from atmosphere–topography processes [abstract]
Pluto has a variety of surface frosts and landforms as well as a complex atmosphere. There is ongoing geological activity related to the massive Sputnik Planum glacier, mostly made of nitrogen (N2) ice mixed with solid carbon monoxide and methane, covering the 4-kilometre-deep, 1,000-kilometre-wide basin of Sputnik Planumnear the anti-Charon point. The glacier has been suggested to arise from a source region connected to the deep interior, or from a sink collecting the volatiles released planetwide1. Thin deposits of N2 frost, however, were also detected at mid-northern latitudes and methane ice was observed to cover most of Pluto except for the darker, frost-free equatorial regions. Here we report numerical simulations of the evolution of N2, methane and carbon monoxide on Pluto over thousands of years. The model predicts N2 ice accumulation in the deepest low-latitude basin and the threefold increase in atmospheric pressure that has been observed to occur since 1988. This points to atmospheric–topographic processes as the origin of Sputnik Planum’s N2 glacier. The same simulations also reproduce the observed quantities of volatiles in the atmosphere and show frosts of methane, and sometimes N2, that seasonally cover the mid- and high latitudes, explaining the bright northern polar cap reported in the 1990s and the observed ice distribution in 20152. The model also predicts that most of these seasonal frosts should disappear in the next decade.