Dobbiamo iniziare a rassicurarvi intanto che gli astronauti in missione sulla ISS godono per definizione di perfetta salute. Non possono soffrire di patologie croniche e prima della partenza affrontano una rigida quarantena per evitare di contrarre infezioni.
Ma, per quanto allenati, sono pur sempre umani: che cosa accadrebbe se si verificasse un'emergenza medica sulla nostra base orbitante?
Imprevisti e probabilità
“Tutto quello che ci può accadere sulla Terra può verificarsi anche nello Spazio” dice la Dott.ssa Dorit Donoviel, la scienziata a capo del National Space Biomedical Research Institute (NSBRI), che studia per la Nasa i rischi legati alla salute in gravità zero. “Puoi avere un calcolo renale, un mal di testa che non si risolve, una pressione troppo elevata nel cervello, un infarto. La Nasa deve preoccuparsi di tutte le possibili ripercussioni di un problema medico non risolto”.
La soluzione più , anche se costosa, sarebbe quella di rimandare l'astronauta sulla Terra a bordo di una Soyuz. Ma insieme all'ammalato dovrebbero tornare anche altri due astronauti e dovrebbe essere approntata immediatamente una missione per rentegrare l'equipaggio della ISS.
E dire che la ISS si trova teoricamente a poche ore di distanza dal primo ospedale terrestre. In una missione di lunga durata, come quelle su Marte, la possibilità di rientrare sarebbe ancora più lontana. Diverse istituzioni e università stanno quindi lavorando a soluzioni alternative.
Progetto “Suture in Space”
Questo progetto era stato promosso dall'Università di Firenze ed è stato lanciato con la missione "Minerva" a cui aveva partecipato anche la mostra astronauta italiana Samantha Cristoforetti. Sono partiti modelli di tessuti umani con ferite e suture che sono stati trasferiti con SpX sulla ISS. A novembre del 2022 sono partiti i modelli di tessuti umani con ferite e suture che sono stati trasferiti con un veicolo Dragon Cargo sulla ISS.
Nel frattempo nei laboratori del Kennedy Space Center sono state prodotte ferite e suture uguali ai campioni inviati sulla ISS.
Dal confronto, al ritorno a Terra, dei due campioni si capiranno gli effetti della microgravità sul processo di guarigione della ferita.
Asa campus patch. Crediti: ASA
I campioni sono tornati nel gennaio del 2023 ma per avere tutti gli esiti bisognerà però attendere almeno un anno, essendo questa seconda parte a sua volta articolata in diversi passaggi: non solo dovranno essere svolti una serie di esperimenti di controllo a Terra, ma tutti i campioni biologici dovranno essere anche divisi e condivisi con i diversi gruppi di ricerca italiani ed europei coinvolti nel progetto.
La possibilità di garantire, in ambiente spaziale, cure mediche adeguate e vicine agli standard terrestri è una sfida che richiede studi approfonditi, spiega la Dottoressa Monica Monici (Dirigente del Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche dell'Università di Firenze). L’esperimento ha tenuto conto di una molteplicità di fattori e variabili: le condizioni estreme, come la microgravità e le radiazioni, la durata delle missioni, il numero di attività ad alto rischio ad esse associate, la risposta dell’organismo umano a lunghi periodi di permanenza nello spazio”
All’esperimento hanno partecipato i Dipartimenti di Scienze Biomediche Sperimentali e Cliniche “Mario serio” e di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze. Hanno collaborato l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, le Università di Milano, del Molise, di Siena, di Aarhus (Danimarca), di Amsterdam (Olanda) e Lucerna (Svizzera). L’hardware che consente lo svolgimento dell’esperimento sulla Iss è stato sviluppato da Kayser Italia (Livorno) e OHB (Brema, Germania).
L'ingegnere della NASA John Blaha, che aveva trascorso 118 giorni in orbita sulla stazione spaziale russa Mir nel 1996, al rientro a terra rivelò: “Sembra quasi che tutti i meccanismi di difesa e rigenerazione dell’organismo siano rallentati,” ed ancora: “mi sono tagliato nel cambiare una lampadina e la ferita non si è rimarginata fino al mio rientro a Terra. Persino le unghie e i capelli crescono più lentamente”.
Medicinali da banco
Nausea e mal di testa sono una costante per gli astronauti impegnati nelle missioni spaziali. La gravità ridotta, infatti, porta non solo a un calo del tono muscolare, ma altera la circolazione dei fluidi corporei, causando fastidi che vanno dal viso gonfio alle difficoltà a urinare, dalle congestioni alla cefalea, dalle alterazioni della vista a quelle dell’equilibrio. Senza scordare un certo innalzamento della temperatura corporea, la cosiddetta febbre da spazio. Sulla Terra molti di questi disturbi potrebbero essere alleviati con farmaci di uso comune, ma i dati raccolti mostrano che l’efficacia di questi prodotti in orbita è decisamente inferiore.
Anche se in occasione delle prime missioni spaziali non sono state condotte rilevazioni sistematiche, e quindi ancora oggi i dati sono solo parziali, si stima che in media un astronauta durante una missione di qualche mese arrivi ad assumere circa 400 dosi di medicinali. Questo numero molto alto è giustificato non solo da problemi e sintomi più frequenti nello spazio, ma anche dalla minore efficacia in quelle condizioni dei principi attivi stessi. Studi come il Dose Tracker Experiment della Nasa, condotto sugli astronauti durante la permanenza sulla Stazione spaziale internazionale dal 2017, hanno mostrato che i dosaggi che è necessario assumere per eliminare i sintomi sono significativamente più alti di quelli standard. Per le missioni di lungo periodo si dovrà insomma tenere conto di rifornire i viaggiatori nello spazio con abbondanti scorte di medicinali.
Farmaci da banco e blister. Crediti: ricerca Google
Sul perché i farmaci da banco come antinausea, analgesici, decongestionanti e sedativi perdano efficacia in condizioni di microgravità, ancora non c’è una risposta conclusiva. Un’ipotesi è che le condizioni estreme del trasporto possano incidere sulla stabilità dei prodotti, che forse si degradano più in fretta che sulla Terra, magari anche a causa del confezionamento. I farmaci vengono infatti tolti dalle confezioni originali e reimpacchettati prima del lancio, in modo da occupare meno spazio. Ancora, le radiazioni cosmiche non schermate dall’atmosfera terrestre potrebbero far deteriorare più rapidamente i medicinali. L’ipotesi più plausibile di tutte, però, è che sia il corpo umano a rispondere in modo diverso ai principi attivi, proprio in ragione dell’alterata gravità, che modifica diversi processi fisiologici e in generale il metabolismo, la circolazione, l’azione degli enzimi, i recettori e i processi digestivi.
Uno studio punterebbe a produrre questi medicinali direttamente sulla ISS per scoprire se i principi attivi in essi contenuti rimangono tali anche in microgravità.
Studi del genere sono stati già messi a punto ed hanno avuto ricadute sulla Terra molto positive. Infatti sul nostro pianeta, i liquidi tendono a stratificarsi per effetto della gravità, mentre nello spazio le sostanze si distribuiscono in modo sferico. Questo fenomeno è stato sfruttato, per esempio, per realizzare delle microcapsule che contengono liquidi immiscibili, come acqua e sostanze oleose. Un metodo per riuscirci è quello chiamato “Microincapsulation Electrostatic Processing System” (Meps), che può essere utilizzato in ambito medico, per mettere a punto trattamenti iniettabili antitumorali a rilascio graduale, altamente specifici e con effetti dilazionati nel tempo. Una volta studiato nello spazio, il metodo è stato riprodotto nei laboratori standard, ed ha portato a oltre una decina di brevetti.
Batteri e difese immunitarie
Altro campo di ricerca ancora agli albori riguarda i patogeni e la nostra capacità di difenderci da infezioni batteriche. Le poche conclusioni a cui la comunità scientifica è giunta non sono affatto buone: l’assenza di gravità, per cominciare, parrebbe ridurre la capacità delle nostre difese immunitarie di rispondere ai patogeni, e provocherebbe anche alterazioni del microbiota, flora batterica intestinale inclusa.
Per contro, invece, i batteri potrebbero uscirne potenziati. Esperimenti condotti già dalla fine del secolo scorso su Escherichia coli e suStaphylococcus aureus hanno dimostrato un aumento della resistenza a moltissimi antibiotici. Questo effetto potrebbe essere dovuto o alla comparsa di meccanismi di difesa imputabili alle condizioni anomale in cui i batteri si trovano, oppure a un tasso di mutazioni più elevato, indotto dalla già citata radiazione cosmica non schermata. Qualunque sia la causa, sarà importante tenerne conto nel momento in cui si dovessero creare colonie di popolazioni umane extraterrestri.
L’ingegnere Akihiko Hoshide della Japan Aerospace Exploration Agency che esegue l’imaging ad ultrasuoni al suo occhio nel laboratorio Columbus della Stazione Spaziale Internazionale. Crediti: Nasa
Il personale della ISS in servizio tra il 1995 e il ’98 aveva segnalato un alto numero di infezioni microbiche, come congiuntiviti, difficoltà respiratorie acute e infezioni dentali.
Nel frattempo si stanno cercando soluzioni. La start-up SpacePharma e le agenzie spaziali italiana (ASI) e israeliana (ISA) a settembre 2020 hanno lanciato, per mezzo di un razzo Vega, un satellite (chiamato Dido-3) con a bordo un piccolo laboratorio adatto alla microgravità, operabile da Terra. Tra gli obiettivi del progetto, e in particolare dell’esperimento Argtm: capire i meccanismi alla base dello sviluppo della resistenza agli antibiotici e soprattutto individuare nuove e più efficaci opzioni farmacologiche, da utilizzare nello spazio e non.
Chirurgia nello spazio
Fino ad ora sono stati segnalati due casi di sospetta appendicite su cosmonauti russi. In un caso si accertò trattarsi di una prostatite mentre nel secondo caso si procedette con un rientro di emergenza dallo spazio. In realtà poi si scoprì che non si trattava di appendicite ma di calcoli del rene e dell’uretere destro che si manifestavano con gli stessi sintomi. E’ noto infatti che i voli spaziali possono provocare una aumentata perdita di calcio nell’urina con formazione di calcoli renali.
Se il viaggio spaziale dura a lungo aumenta il rischio di malattie dovute a radiazioni e la possibilità di contrarre un cancro o una leucemia.
Il trauma e le sue conseguenze rappresentano oggi il rischio maggiore per l’astronauta. Nelle passeggiate spaziali al di fuori della navicella spaziale è presente il pericolo di traumi penetranti o da schiacciamento le cui conseguenze potrebbero essere catastrofiche se si venisse a compromettere l’integrità della tuta protettiva. Anche se possibili, non sono stati segnalati fino ad oggi traumi cranici.
Per patologie muscolo-scheletriche, oculari, toraciche, addominali e pelviche è stato utilizzato in numerose missioni spaziali da astronauti non medici opportunamente addestrati l'ecografo ad ultrasuoni.
La chirurgia laser per correggere la vista è una pratica comune e la tecnologia sviluppata per l'uso nello spazio è ora comunemente utilizzata sulla Terra per tracciare l'occhio del paziente e dirigere con precisione il bisturi laser.
L'esperimento Eye Tracking Device ha studiato i meccanismi coinvolti in questo processo e il modo in cui i quadri di riferimento umani vengono alterati nello spazio. L'esperimento ha utilizzato un auricolare appositamente progettato dotato di chip di elaborazione delle immagini ad alte prestazioni in grado di tracciare gli occhi senza interferire con il normale lavoro di un astronauta. I risultati hanno mostrato che il nostro equilibrio e il controllo generale dei movimenti oculari sono effettivamente influenzati dall'assenza di gravità. Questi due sistemi lavorano a stretto contatto in condizioni di gravità normale, ma diventano in qualche modo dissociati in assenza di gravità.
L'astronauta ESA Thomas Reiter indossa il “Eye Tracking Device” sulla ISS ne 2006. Crediti: NASA
Dopo un volo, ci vogliono diversi giorni o settimane prima che gli astronauti tornino alla normalità. I risultati indicano che l'intero complesso sensomotorio e la percezione spaziale si basano sulla gravità come riferimento per l'orientamento.
Parallelamente al suo utilizzo sulla stazione spaziale, gli ingegneri si sono resi conto che il dispositivo aveva un potenziale per applicazioni sulla Terra. Tracciare la posizione dell'occhio senza interferire con il lavoro del chirurgo è essenziale nella chirurgia laser. La tecnologia spaziale si è rivelata ideale e l'attrezzatura del dispositivo di tracciamento oculare viene ora utilizzata in gran parte degli interventi chirurgici laser correttivi in tutto il mondo. Una versione disponibile in commercio è stata consegnata a un gran numero di laboratori di ricerca in Europa e Nord America per studi a terra.
Mentre per le operazioni vere e proprie si pensa di utilizzare un robot chirurgico, esperimento che è stato già tentato in applicazioni sperimentali sulla ISS. E' sufficiente avere a bordo questo robot ed un chirurgo da Terra (telechirurgia), azionerà la macchina senza essere fisicamente in orbita. Ciò è possibile se la distanza dalla Terra non provoca un eccessivo ritardo nel segnale radio.
Ancora oggi, comunque, in caso di gravi ferite o patologie, i protocolli NASA prevedono il rientro immediato sulla Terra con il primo veicolo disponibile.
Nelle future missioni spaziali interplanetarie, eventuali traumi, ferite, ustioni, emergenze chirurgiche dovranno essere gestiti a bordo di veicoli o basi spaziali, perché i tempi di evacuazione medica verso Terra sarebbero troppo lunghi od impossibili.
Si sta quindi sperimentando, oltre all'ipotesi di un chirurgo a bordo, l'uso di piccoli robot chirurgici autonomi, stampanti 3D che a causa dello spazio angusto sull’astronave potranno produrre strumenti chirurgici, protesi o farmaci solo in relazione alle effettive necessità.
Organi sotto stress
Lo scheletro degli astronauti è sottoposto a diverse sollecitazioni, proprio a causa dell’assenza di gravità: non essendo necessario contrastare la forza di gravità il nostro corpo e i muscoli sono inattivi e il calcio, anziché depositarsi sulle ossa, viene eliminato dall’apparato urinario. Cosa comporta? Le ossa si assottigliano (osteoporosi), aumentano le probabilità di sviluppare calcoli renali. Ovviamente l’inattività si ripercuote anche sui muscoli, che tendono a perdere massa. Per questo gli astronauti sono obbligati a seguire ogni giorno uno speciale e intenso programma di allenamento.
Altre complicazioni possono verificarsi a livello delle vie aeree, a causa dell’accumulo di liquidi nella parte alta del corpo che può provocare, nello spazio, forti congestioni nasale e una generica difficoltà respiratoria.
James Thomas, medico a capo della ricerca per la NASA, ha detto che “il cuore non lavora così duramente nello spazio e questo può causare perdita di massa muscolare”. Il team di ricercatori ha insegnato agli astronauti a scattare immagini del loro cuore, usando apparecchiature ad ultrasuoni installate sulla Stazione Spaziale Internazionale, prima, durante e dopo la missione. I dati mostrano che in assenza di gravità il cuore degli astronauti diventa più sferico del 9,4%: una trasformazione simile a quella che i ricercatori avevano previsto in passato utilizzando modelli matematici. Nelle missioni di 6 mesi, come quelle compiute fino ad oggi, la forma sferica sembra essere temporanea in quanto, poco dopo il ritorno sulla Terra, il cuore riprende la sua forma originale allungata. La forma più sferica può indicare che il cuore sia meno efficiente, anche se gli effetti sulla salute non sono per ora stati provati, come ancora non sono noti effetti dopo voli più lunghi.
Cuore sferico. Crediti: www.media.inaf.it
I ricercatori hanno sottolineato che conoscere la quantità e il tipo di esercizio che gli astronauti devono eseguire per mantenere sano il loro cuore sarà molto importante per garantire la loro sicurezza su un lungo volo come quello verso il Pianeta rosso. I nuovi modelli matematici sviluppati dai medici per questa sperimentazione potrebbero portare, inoltre, ad una migliore comprensione delle malattie cardiovascolari più comuni come cardiopatia ischemica, cardiomiopatia ipertrofica e le disfunzioni delle valvole cardiache. Thomas ha aggiunto che i regimi di allenamento sviluppati per gli astronauti potrebbero, infatti, essere usati per aiutare i pazienti cardiopatici sulla Terra che hanno gravi limitazioni fisiche, come le persone costrette a riposo forzato per lunghi periodi o quelli con insufficienza cardiaca.
Dottore olografico vi ricorda qualcosa?
Non è fantascienza e non siamo sul set di Star Trek anche se il Dott. Josef Schmid ha voluto dare agli astronauti della ISS l'addio con il classico saluto vulcaniano.
Questo è realmente successo sulla Stazione spaziale internazionale : un team di medici della Nasa si è teletrasportato con un ologramma nello Spazio per visitare gli astronauti a bordo. A raccontarlo è la stessa agenzia spaziale americana, secondo cui questo è un modo completamente nuovo di comunicazione su grandi distanze ed è la prima volta che gli esseri umani sono stati “oloportati”, con una tecnica chiamata appunto olotrasporto, dalla Terra allo Spazio.
Il sistema utilizzato è stato sviluppato da Microsoft nel 2016, ma questo rappresenta il suo primo utilizzo in un ambiente così estremo e lontano come lo Spazio, spiega la Nasa. Si basa su un mix di tecnologie tra ologramma e teletrasporto, soprannominato appunto olotrasporto, che consente attraverso interazioni visive e vocali la comunicazione in tempo reale tra gli scienziati sulla Terra e gli astronauti nella Spazio. Il protagonista è il dottor Josef Schmid: la sua immagine è stata registrata, compressa come un file di dati, e successivamente trasmessa in 3D sulla Stazione spaziale internazionale, da una innovativa fotocamera chiamata Microsoft Hololens Kinect. A riceverlo sulla stazione spaziale è stato l'astronauta dell'Agenzia spaziale europea Thomas Pesquet che ha così potuto interagire con il medico con un visore di realtà mista, in grado di sovrapporre e fondere le immagini del medico con l'ambiente della Iss, come se fosse effettivamente lì vicino a lui. “È un modo nuovo di zecca di esplorazione umana, in cui la nostra entità umana è in grado di viaggiare fuori dal pianeta”,commenta Schmid. “Il nostro corpo non è lì, ma la nostra entità assolutamente sì”.
Il dottor Josef Schmid in forma olografica fa il saluto vulcaniano. Crediti: Wired
La nuova tecnologia, spiegano dalla Nasa, potrebbe aprire le porte a una miglior sicurezza per gli astronauti e un maggior successo delle missioni spaziali future e a lungo termine. Oltre a usare la tecnologia per comunicazioni mediche e familiari, infatti, il passo successivo sarà quello di servirsi della comunicazione con l'olotrasporto per il tele-mentoring al di fuori del nostro pianeta.“Immagina di poter portare chi ha progettato una tecnologia particolarmente complessa proprio accanto a te, ovunque tu possa lavorarci”, commenta Schmid.“Potrai intervenire su un dispositivo proprio come fanno due chirurghi durante un'operazione”.
Anche se ci sono alcuni ostacoli ancora da superare, soprattutto per quanto riguarda le missioni nello Spazio profondo. Sappiamo, infatti, che le grandi distanze possono causare un ritardo tra l'equipaggio e la squadra sulla Terra: le comunicazioni con Marte, per esempio, sarebbero in ritardo di 20 minuti. “La comunicazione è fondamentale, sia per ragioni mediche, sia di supporto alla missione, sia per rimanere in contatto con i familiari”, spiegano dalla Nasa. “L'equipaggio dovrà essere connesso alla Terra, indipendentemente da dove esploreranno gli esseri umani”.
Il futuro
Grazie agli esperimenti a cui è stato sottoposto il nostro astronauta Luca Parmitano, che ha subito programmi di allenamento e di alimentazione controllata, si è riusciti ad avere una migliore comprensione delle malattie cardiovascolari più comuni, come cardiopatia ischemica, le disfunzioni delle valvole cardiache, glaucoma, tumori. Parmitano si è sottoposto anche allo scan della colonna vertebrale, tramite un ecografo di ultima generazione e di ridotte dimensioni che potrà essere usato fra qualche anno nelle zone più remote del pianeta in sostituzione della risonanza magnetica. In futuro, infatti, verranno pensate anche soluzioni non invasive per curare l’uomo, come diete particolari o medicine da assumere in volo, in alternativa a interventi laser e chirurgici.
L'astronauta Chris Cassidy, Expedition 36, utilizza lo scan ultrasonico sull'astronauta della Agenzia Spaziale Europea Luca Parmitano. Crediti: NASA
Ma cosa accadrebbe al nostro corpo durante il lungo viaggio verso Marte od ancora più lontano?
E cosa accadrebbe ai vari batteri e virus che portiamo con noi?
Infatti un test che era stato eseguito sulla stazione spaziale russa Mir, aveva scoperto la presenza di ben 234 specie di batteri e funghi microscopici che vivevano a bordo con gli astronauti.
A peggiorare un quadro già abbastanza drammatico vi è il fatto che i viaggi spaziali compromettono il sistema immunitario degli astronauti, rendendoli più sensibili agli effetti dei microbi. Studi medici hanno anche provato che gli antibiotici sono meno efficaci e per questo gli esperti sperano che gli antiossidanti, che si assumono con il cibo e con gli integratori alimentari, possano contrastare questi effetti.
Questo sogno di ogni essere umano di poter andare per le stelle visitando nuovi pianeti si potrebbe infrangere se non riusciremo a contrastare in modo efficace tutti i problemi a cui, oggi, siamo sottoposti.