Gli effetti della microgravità
Sulla Terra occorre svolgere attività fisica per mantenersi in salute ed in ottima forma onde evitare malattie cardiovascolari, diabete e tumori.
Nello Spazio è invece vitale e di sopravvivenza l'esercizio fisico a causa della microgravità.
In microgravità i sistemi cardiovascolare e muscolo-scheletrico non richiedono molta energia per svolgere le loro funzioni, innescando così il meccanismo di “risparmio energetico” che porterà un indebolimento generale. Inoltre si avrà un diminuzione di densità e robustezza delle ossa a causa della riduzione del carico gravitazionale.
I viaggi spaziali portano gli astronauti ad essere come persone sedentarie perdendo la massa muscolare che genera atrofia.
Le ossa, sulla Terra, sono sottoposte a processi di decalcificazione e ricalcificazione stimolati da vari fattori fra cui l’esercizio fisico, la dieta, il patrimonio genetico. Il mantenimento della posizione eretta, ad esempio, determina la contrazione dei muscoli antigravitari e questo costituisce un impulso per la deposizione di osso, così come l’attività fisica.
Al contrario, nello Spazio, in condizioni di microgravità, la funzionalità dei muscoli antigravitari sarà minima e questo contribuirà a favorire il processo di degradazione del tessuto osseo.
Non ultimo il cuore che soffre terribilmente dalla mancanza di gravità.
Sulla Terra il sistema cardiovascolare è influenzato dalla gravità: le vene delle nostre gambe lavorano contro la gravità per riportare il sangue al cuore.
Nello Spazio invece il cuore ed i vasi sanguigni cambiano: lo stesso cuore cambia aspetto e e il ventricolo destro e sinistro diminuiscono di massa. Ciò è dovuto alla minor richiesta energetica che determina una diminuzione del volume del sangue con conseguente riduzione della massa miocardica.
Analogamente, anche la portata cardiaca del cuore diminuisce nello Spazio. In assenza di gravità, c’è una diversa distribuzione del sangue che tende a ristagnare nel capo (faccia gonfia) con conseguente volume di ritorno al cuore minore.
Essendoci meno sangue nel petto il cuore ne pompa una più elevata quantità. I reni rispondono a questo aumento producendo più urina. L'incremento del flusso del sangue e dei fluidi corporali fa sì che la ghiandola pituitaria riduca la produzione di vasopressina e quindi gli astronauti hanno meno sete.
Gli scienziati e progettisti delle missioni spaziali hanno capito fin dagli inizi dei programmi che le condizioni spaziali mettevano a dura prova la capacità fisica degli astronauti. Per questa ragione l'allenamento di chi viaggia nello spazio è molto impegnativo al fine di garantire uno stato iniziale ottimale, ma una volta entrato in condizioni di microgravità il corpo dell'astronauta subisce comunque qualche cambiamento. Alcuni di essi sono temporanei, di adattamento, e in genere richiedono dai due ai quattro giorni per abituarsi: cinetosi, spostamento dei liquidi corporei, metabolismo, cambiamento del flusso sanguigno e propriocezione del corpo.
Agli Albori, lo Skylab
Iniziamo ad esaminare come il problema è stato affrontato nel corso del tempo.
Gli USA, fin da prima della costruzione dello Skylab, fecero dei test per capire come potesse influenzare la vita degli astronauti uno spazio ristretto e come essi potessero veramente vivere al suo interno. Questo esperimento iniziò nel 1971 con tre astronauti della NASA: Robert Crippen, William Thornton e Karol Bobko assegnati al progetto SMEAT. Gli obiettivi di SMEAT includevano l'acquisizione di dati medici di base per una serie di esperimenti che riflettessero gli effetti dell'ambiente Skylab, salvo l'assenza di gravità. La stanza aveva un diametro di 6 metri ed era divisa in due sezioni situate su due livelli. La stanza al piano terreno conteneva le postazioni per dormire, il tavolo da pranzo, le attrezzature per gli esercizi e la maggior parte degli esperimenti medici. Il secondo piano fungeva da spazio tranquillo attrezzato con scrivanie e sedie per il lavoro dell'equipaggio.
Gli astronauti, da sinistra, Robert Crippen, William Thornton e Karol Bobko assegnati al progetto SMEAT mostrano la cyclette. Crediti: Nasa
Per simulare l'atmosfera Skylab pianificata, l'atmosfera controllata della camera di altitudine venne mantenuta con una miscela di gas formata dal 70% di ossigeno e dal 30% di azoto a una pressione di 0,41 bar per i 56 giorni della durata del test.
Durante lo SMEAT, furono condotti 14 degli esperimenti medici Skylab per studiare i cambiamenti nei sistemi cardiovascolare, muscolo-scheletrico, endocrino e neurologico. Vennero anche completati 15 obiettivi di test dettagliati, progettati per valutare vari aspetti tecnici e dei fattori umani della missione.
Il 20 settembre 1972, alle 7 del mattino, Crippen, Thornton e Bobko uscirono dalla camera, dopo aver completato con successo la simulazione Skylab di 56 giorni.
La missione SMEAT ha portato a numerose lezioni apprese e miglioramenti all'hardware e alle procedure che hanno contribuito notevolmente al successo finale delle missioni orbitali Skylab, generando il primo set di dati delle risposte umane al volo spaziale di lunga durata.
Il simpatico patch della missione SMEAT. Crediti: Nasa
Grazie a questi esperimenti venne creata, nel 1973, una macchina chiamata CMC Shuttle 2000.
In questa gli astronauti sono sdraiati sulla schiena su una slitta che scivola su un binario per utilizzare lo Shuttle CMC. Quindi spingono i piedi fuori da una pedana e si tirano mentre si aggrappano a corde elastiche regolabili e resistenti. La macchina muove il diaframma dell'utente ad ogni ripetizione ed esercita la cavità toracica, attirando il sangue al cuore e aiutando a mantenere la salute del cuore e il flusso sanguigno in generale.
Gli astronauti hanno utilizzato il CMC dal 1973 al 1974 nella missione Skylab di 84 giorni. Ulteriori perfezionamenti sono stati apportati al design sulla base delle osservazioni del cuore, dei muscoli e del flusso sanguigno degli astronauti che lo hanno utilizzato in volo.
Durante la missione Skylab 2 l'astronauta Charles Conrad si allena con il CMC Shuttle 2000. Crediti: Nasa
Quest'apparecchiatura viene ancora adesso utilizzata dai pazienti a riposo a letto in ambiente diagnostico o riabilitativo: non solo mantiene sani i cuori di questi pazienti ed il loro sangue scorre correttamente, ma previene anche l'atrofia di ossa e muscoli che, in queste persone, sono usati raramente.
Anche sullo Space Shuttle vi era la possibilità di fare esercizio grazie ad una speciale bicicletta in cui si pedalava sdraiati, con un sedile dotato di un'alta spalliera, cinghie che tenevano l'astronauta fissato per il tronco alla sedia stessa mentre si muovevano solo le gambe, le mani non dovevano appoggiarsi a nulla. Una specie di cyclette senza manubrio con solo la pedaliera. Questa bicicletta si trovava sullo space shuttle Discovery ed ebbe numerosi guasti fra cui pedali inceppati. Così gli astronauti ripararono la bicicletta aprendola e rimuovendo le cinghie che spesso si incastravano permettendo all'astronauta Lee Archambault, un appassionato ciclista sulla Terra, di farci un giro.
Joe Acaba mentre si esercita sullo Shuttle con la cyclette. Crediti: Nasa
E intanto i russi...
Passando ai russi i primi esperimenti medici, di cui abbiamo conoscenza, risalgono alla missione della Saljut 3 con i cosmonauti Pavlo Popovyč e Jurij Artjuchin. La Saljut era lunga circa 25 metri ed aveva una cubatura interna che corrispondeva all'incirca ad un appartamento di 35 metri quadri di superficie. Era suddivisa in tre ambienti interni specializzati per svolgersi attività differenti: rilevamenti scientifici verso l'esterno; rilevamenti interni con controlli sia sui cosmonauti sia su animali e piante; attività extra lavoro è cioè esercizi ginnici mediante apparecchiature appositamente studiate, preparazione e consumazione del cibo, riposo ed igiene personale.
L'equipaggio russo ha anche un tuta, denominata TUTA PINGUINO, che creava una resistenza permanente a chi la indossava grazie a dei tiranti elastici che costringevano i muscoli ad effettuare un notevole sforzo. Veniva soprattutto utilizzata per comprimere il corpo in modo che potesse rientrare nello spazio ristretto della Sojuz.
I cosmonauti sovietici Aleksandr Balandin e Anatolij Solov'ëv sulla MIR indossano la tuta pinguino. Crediti: Museo di Storia della Città di Yaroslavl
Oltre a questo i cosmonauti avevano altre apparecchi con cui compivano esercizi ginnici allo scopo di prevenire gli effetti negativi provocati dall'assenza di gravità.
Anche sulla MIR ogni giorno, di solito prima di pranzo, venivano eseguiti esercizi per impedire l'atrofizzazione dei muscoli in assenza di gravità utilizzando due apparecchiature: un tappeto mobile, ve ne erano ben due, uno nel modulo Kristall e l'altro nel blocco base ed una cyclette situata sempre nel blocco base.
Vi erano tre programmi di esercizi, elaborati da fisiologi russi, e ogni giorno i cosmonauti ne eseguivano uno.
Il programma richiedeva 45 minuti e alternava periodi di corsa sul tappeto mobile a esercizi con elastici, questi esercizi dovevano essere eseguiti tutti i giorni in quanto i fisiologi russi ritenevano, a ragione, che l'esercizio fisico fosse una buona contromisura per la perdita di densità ossea e muscolare che si verifica quando gli esseri umani vivono per lungo tempo senza gravità.
Un ruolo centrale hanno avuto anche le conoscenze inerenti l’adattamento del corpo umano alla condizione di microgravità. La Mir è stata infatti teatro di diversi record di lunga durata, basti pensare che ben 4 cosmonauti vi vissero in modo continuativo per circa 12 mesi (Sergej Avdeev, Vladimir Titov e Musa Manarov) e uno di loro (Valerij Poljakov), un medico russo, addirittura per 14 mesi, per la precisione 435 giorni, ovvero dal 10 gennaio 1994 al 22 marzo 1995. Si tratta di un primato senza precedenti e mai eguagliato o avvicinato da nessun altro. Poljakov era sia un cosmonauta che un medico e il compito principale della sua stoica missione era quello di dimostrare che una persona era in grado di lavorare per così tanto tempo in microgravità, se supportata a dovere dai medici e da un esercizio fisico costante e specifico, che riuscisse a contrastare gli effetti negativi del volo spaziale. Un aspetto da non trascurare fu la riabilitazione sulla Terra dopo il rientro, che dimostrò sulla sua pelle l’efficacia di tale programma.
Il dottor cosmonauta Valery Poljakov durante la sua permanenza sulla MIR fa esperimenti su sé stesso. Crediti megabook.ru
E gli italiani?
Dopo alcuni anni dal suo rientro sulla Terra, quando Poljakov era vice direttore della Ministero della Sanità Russa, incontrò un membro del comitato scientifico dell'ASI, Prof. Giuseppe Talianda, per realizzare un protocollo di cooperazione Italia-URSS nel campo della medicina spaziale legata soprattutto alla permanenza e sopravvivenza nello spazio con attenzione particolare alla attività cardiovascolare, all'attività muscolare, alla calcificazione ossea ed ai poteri immunitari.
Per il Prof. Poljakov, data la sua esperienza, questi studi ed i dati raccolti sarebbero stati molto importanti per programmare le prossime missioni spaziali umane perfezionando i controlli medici e predisponendo misure di profilassi e salvaguardia.
A questo proposito va ricordato che l'Italia nel 1952 fondò l'Associazione italiana di medicina aeronautica (Aima) che poi si completò con la connotazione 'spaziale' nel 1963.
Erano gli anni della guerra fredda e del mondo diviso in due blocchi contrapposti, tra Usa e Urss impegnati nella corsa verso la conquista dello spazio, ma soprattutto della Luna. Studiare quindi le capacità psico-fisiche e l’addestramento dei piloti anche dal punto di visto del "fattore umano" diventò fondamentale.
Ogni anno si svolge un congresso nazionale dell’AIMAS, l’Associazione Italiana di Medicina Aeronautica e Spaziale, con le sessioni dedicate alla sicurezza del volo, alla medicina aerospaziale, agli aspetti neurofisiologici e neuropsicologici delle Neuroscienze aerospaziali.
Nella prossima puntata tratteremo approfonditamente della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).