Le galassie sono generalmente raggruppate in ammassi e tra queste, quelle più vicine a noi, hanno smesso di formare stelle in un lontano passato. Ora, però, un team internazionale di astronomi, guidato da Andra Stroe del Leiden Observatory e da David Sobral del Leiden and the University di Lisbona, hanno scoperto che queste galassie dormienti a volte possono tornare alla vita. Ciò avviene quando si fondono ammassi di galassie, generando un'enorme onda d'urto in grado di guidare la nascita di una nuova generazione di stelle.
Analizzando la mappa della radiazione cosmica di fondo (CMB), gli astronomi scoprirono, già nel 2004, un punto insolitamente freddo nel cielo. Ora il Dr. Istvan Szapudi dell'Istituto di Astronomia presso l'Università delle Hawaii a Manoa potrebbe aver trovato una spiegazione per l'esistenza di questa insolita "Cold Spot", che egli stesso definisce "la più grande struttura cosmica singola che sia mai stata identificata".
Una nuova ricerca, basata sui dati del VLT (Very Large Telescope) dell'ESO e del telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA, mostra come la morte per le galassie ellittiche inizi dal loro cuore. Tre miliardi di anni dopo il Big Bang queste galassie spente ancora producevano stelle ma solo nelle zone periferiche, mentre la formazione stellare si era già arrestata nel nucleo.
Questi risultati sono stati pubbliccati ieri sulla rivista Science.
Una squadra dell'Università dell'Arizona, guidata dall'astronomo Peter A. Milne, ha scoperto che le supernovae, comunemente utilizzate per misurare le distanze nell'Universo, sono più diversificate di quanto di pensasse. I risultati hanno notevoli implicazioni sul calcolo dell'espansione dell'Universo a partire dal Big Bang.
Un recente studio, focalizzato sugli scontri tra ammassi di galassie che avvengono nel corso di miliardi di anni e sul comportamento della materia oscura, mostra che questa interagisce molto poco con sé stessa, ancora meno di quanto si pensasse.
La ricerca, guidata da un gruppo di scienziati del Politecnico di Losanna e dell'Università di Edimburgo, mette in dubbio l'idea che la materia oscura sia composta di particelle.
Un team internazionale di astronomi dell'Università di Pechino e dell'Università dell'Arizona ha individuato SDSS J0100 + 2802, il nuovo quasar conosciuto più brillante dell'Universo primordiale, alimentato da un mostruoso buco nero.
La scoperta rappresenta un importante passo in avanti per comprendere l'evoluzione di questi nuclei galattici attivi appena 900 milioni di anni dopo il Big Bang.
Le nuove dettagliate mappe del satellite Planck dell'ESA posticipano l'epoca della reionizzazione, che corrisponde alla nascita delle prime stelle, di 100 milioni di anni.
Nonostante le precedenti sensazionali rilevazioni, un'analisi congiunta Planck, BICEP2 e Keck Array, non ha trovato alcuna prova conclusiva della presenza delle onde gravitazionali primordiali.
Nel mese di marzo, il team americano dell'esperimento BICEP2 (Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization), condotto presso il South Pole Telescope (SPT), annunciava di aver identificato le impronte delle onde gravitazionali primordiali, ossia il segno lasciato dalla rapida espansione dello spazio appena una frazione di secondo dopo il Big Bang.
Un'affermazione storica che, se fosse stata validata, sarebbe diventata la prima prova diretta della Teoria dell'Inflazione Cosmica che causò la crescita esponenziale dell'Universo subito dopo l'istante zero, ossia il momento della nascita.
Utilizzando il radiotelescopio di Arecibo a Puerto Rico, gli scienziati hanno ascoltato una raffica di lampi radio veloci, durata una frazione di secondo, proveniente dallo spazio profondo.
La scoperta, che è stata pubblicata il 10 luglio sulla rivista Astrophysical Journal, segna la prima volta in cui un "Fast Radio Burst" (FRB) è stato registrato con uno strumento diverso dal radiotelescopio di Parkes in Australia.