Nell'immaginario collettivo, la minaccia di un impatto meteorico viene generalmente associata ad oggetti di grandi dimensioni, come il presunto asteroide di almeno 12 km che, 64 milioni di anni fa, generò la struttura di Chicxulub nello Yucatan, causando l'estinzione dei dinosauri. Per quanto catastrofici, simili disastri su scala globale sono in realtà estremamente rari e ormai sappiamo con certezza che nessun asteroide di grandi dimensioni ci colpirà entro i prossimi secoli. Certo, rimane la possibilità che una grossa cometa a lungo periodo o interstellare, mai avvistata in precedenza, possa venirci addosso con un preavviso di pochi mesi, ma sarebbe un evento ancora più improbabile e, comunque, di fronte a una evenienza così sfortunata ci sarebbe ben poco da fare per correre ai ripari!

 Quelli di cui invece dovremmo preoccuparci maggiormente sono gli oggetti di dimensioni sub-chilometriche, la maggior parte dei quali ancora ignoti ma il cui impatto è molto più probabile nel futuro immediato. Certo, essi non causerebbero l'estinzione della razza umana ma, a seconda delle dimensioni, sarebbero capaci di fare danni locali di una certa entità, causando al limite anche migliaia di vittime. Questo, naturalmente, accade per molte altre catastrofi naturali che sono anche più frequenti, come le eruzioni vulcaniche, i terremoti o gli uragani; tuttavia, la differenza è che in questo caso siamo potenzialmente in grado di prevedere in anticipo l'evento e quindi, anche senza intervenire per evitarlo, potremmo comunque avvertire la popolazione e magari evacuarla, riducendo notevolmente i danni. Sarebbe un vero peccato non predisporre un tale sistema di allerta, a conti fatti!

NEO impatto casualties

Credits: 2017 Report of the NEO Science Definition Team / NASA

 I due grafici qui sopra mostrano la distribuzione e la frequenza degli "impattatori" (a sinistra) e il presunto numero di vittime che essi possono causare sul lungo termine, diluite nel tempo come numero di vittime all'anno. Anche se la curva crescente nel grafico a destra sembra suggerire che dovremmo occuparci soprattutto degli oggetti grandi, capaci anche di scatenare maremoti cadendo nell'oceano, alla luce della catalogazione attuale il rischio reale a breve termine è praticamente nullo, come già detto in precedenza. Invece, la curva a sinistra che cresce per oggetti piccoli ci dice che la stragrande maggioranza di quelli sotto i 100 metri sono ignoti; eppure, i loro impatti avvengono in media ogni qualche secolo e non a intervalli di milioni di anni!

 Qui parleremo in particolare degli insidiosi oggetti di medie dimensioni (magnitudine assoluta 22<H<26 e diametro nominale compreso tra 22 e 140 metri). Dalle osservazioni astronomiche, sappiamo che ne passano da 12 a 20 entro l'orbita lunare ogni anno e questo implica una frequenza di un impatto ogni 2 secoli circa (si veda la linea verticale rossa nel grafico a sinistra). Anche se non sono considerati oggetti potenzialmente pericolosi (PHA) e non sono quindi oggetto di ricerca sistematica, essi sono comunque in grado di raggiungere il terreno o avvicinarsi ad esso con velocità elevata, causando danni notevoli come è successo nel 1908 a Tunguska; in effetti, si stima che questi sub-PHA possano causare in media 8-30 vittime all'anno e, se non ci sono morti documentate, probabilmente è perché in passato la Terra era molto meno popolata! 

 Negli ultimi anni la ricerca di asteroidi pericolosi tramite rassegne dedicate e telescopi robotizzati è divenuta sempre più efficiente. Prima degli anni '90, mai nessun oggetto era stato scoperto mentre attraversava lo spazio circumlunare (entro la distanza lunare) da noi; dal 1991 al 2000, se ne avvistarono 4 ma, già nel primo decennio del secolo, il numero è salito a 114 e, nel decennio appena concluso, siamo arrivati addirittura a 511 avvistamenti, in media uno ogni 10 giorni!

 Qui sotto vediamo l'incremento nel numero di tali passaggi, divisi per intervallo di magnitudine assoluta e quindi per dimensioni nominali. L'incremento è stato particolarmente impressionante negli ultimi anni ed ha riguardato soprattutto gli oggetti medio-piccoli, quelli con 26<H<30 e dimensioni nominali comprese tra 9 e 22 metri. Sulla base del numero di incontri recenti con oggetti di questo tipo (limitandocisi al periodo ideale attorno al novilunio), si ricava un tasso effettivo di almeno 240 passaggi ravvicinati all'anno e una collisione con il nostro pianeta ogni 15 anni o anche meno; questa frequenza è in buon accordo con le occorrenze dei bolidi, dal momento che sono stati osservati un paio di oggetti di queste dimensioni negli ultimi 25 anni (si tratta dei famosi eventi di Chelyabinsk nel 2013 e nello stretto di Bering nel 2018); di riflesso, questa corrispondenza suggerisce che l'attuale efficienza di rivelazione si sta ormai avvicinando al 100%, almeno per questa categoria di oggetti, entro la distanza lunare e nei periodi lontani dal plenilunio.

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Crescita nel numero di incontri a distanza sublunare per varie categorie di sub-PHA. - Data source: NASA/cneos - Processing: Marco Di Lorenzo

 Ultimamente, la ricerca è stata ulteriormente potenziata in vari modi. Dal 2017, ad esempio, sono entrati in funzione i due telescopi "Atlas" concepiti proprio per fornire un primo allarme utilizzando sensori da ben 110 Megapixel con un campo visivo ampio 7,4°. Nell'estate scorsa, invece, il principale telescopio della "Catalina Sky Survey", installato a Mt. Lemmon in Arizona e utilizzato allo scopo già da molti anni, ha subito un aggiornamento con un nuovo CCD a largo campo da 100 Megapixel e la sua produttività è aumentata notevolmente. Entro pochi anni, poi, dovrebbero entrare in funzione sia dei nuovi telescopi ad "occhio di mosca" realizzati da ESA su progetto italiano, sia il grande telescopio per Survey "Vera Rubin" LSST che dovrebbero dare un impulso decisivo a queste ricerche, rivelando un gran numero di oggetti di piccole dimensioni.

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Schema ottico del "Fly-eye telescope" (a sinistra) e meccanico del "Vera Rubin Telescope" (in alto a destra), di cui in basso è mostrato anche un panorama ripreso sul luogo di costruzione il 9/1/21 - Credits: ESA / SSA / LSST Project Office / LSST.org - Processing: Marco Di Lorenzo

 Tutto questo fornisce l'illusoria impressione che, ormai, nulla ci sfugga e quindi che, anche nella malaugurata ipotesi che un oggetto di dimensioni significative e mai osservato prima si avvicini con una traiettoria di impatto, esso venga rilevato in tempo utile per avvertire la popolazione e correre ai ripari. In realtà, le cose non stanno affatto così e il motivo di ciò è molto semplice: le osservazioni di un telescopio a Terra sono inevitabilmente ostacolate da fattori ineliminabili che ne precludono il funzionamento continuo e la copertura completa della volta celeste. Questo è un problema minore se l'intento è quello di fare una catalogazione a lungo termine degli oggetti potenzialmente pericolosi che, in un lontano futuro, potrebbero impattare la Terra, ma diventa un handicap inaccettabile se il nostro scopo è quello di fornire un allarme immediato su un pericolo di impatto imminente!

 A peggiorare le cose c'è un altro fatto che non traspare nei grafici e nei dati prima riportati: spesso, l'asteroide in questione viene rivelato e riconosciuto come "Earth grazer" solo ore o addirittura giorni dopo che l'incontro è avvenuto, dunque non in tempo per lanciare un allarme in caso di traiettoria che intersechi il nostro pianeta! Questo avviene a volte per lentezze o inefficienze nel raccogliere ed elaborare i dati ma, soprattutto, quando l'asteroide proviene da una regione difficile o impossibile da osservare, magari prospetticamente vicina al Sole.

 La questione è stata ampiamente illustrata in un mio precedente articolo, pubblicato 6 anni fa e successivamente aggiornato nel 2018. L'attuale ricerca di PHA (oggetti potenzialmente pericolosi, con almeno 140 metri che incrociano l'orbita terrestre) dovrebbe raggiungere l'obiettivo di completamento entro metà del prossimo decennio, quando si conoscerà il 90% della popolazione totale, vicina ai 4000 oggetti. Ma la popolazione di oggetti sub-PHA è stimata intorno ai 10 milioni di oggetti e non è ragionevole pensare alla loro catalogazione completa, almeno in questa prima metà del secolo. Nel frattempo, c'è una probabilità non trascurabile che uno di questi oggetti possa impattare il nostro pianeta, causando danni localizzati importanti, con possibili vittime. Da qui, la necessità di allestire una rete di avvistamento a breve termine (che chiameremo "sentinella") capace di rivelare nei prossimi decenni qualsiasi corpo di magnitudine assoluta compresa tra 22 e 26 in rotta di collisione con la Terra. Vediamo come realizzarla.

 

Come si può fare?

 Tanto per cominciare, il tempo di preavviso che intercorre tra l'individuazione del rischio e il momento dell'impatto deve essere di almeno 15 ore, in modo da preparare la popolazione e organizzare una eventuale evacuazione. Supponendo un intervallo di 5 ore dal momento del primo avvistamento a quello di una conferma del rischio e considerando che, sugli incontri a distanza sublunare avvenuti tra il 2000 e il 2020, il 95% degli oggetti aveva una velocità inferiore a 22,1 km/s (figura sottostante), questo significa che il primo avvistamento deve avvenire a una distanza di almeno 1,6 milioni di km dal nostro pianeta.

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Distribuzione delle velocità di approccio per oggetti passati a meno di 1 distanza lunare negli ultimi 20 anni. - Data source: NASA/cneos - Processing: Marco Di Lorenzo

  La necessita di posizionare le "sentinelle" nello spazio (possibilmente non in orbita bassa) deriva da una duplice considerazione. In primo luogo, come già accennato, le condizioni meteorologiche, le variazioni stagionali delle ore di buio e, soprattutto, le fasi lunari introducono delle limitazioni inaccettabili alla copertura continua e completa della volta celeste da Terra. Inoltre, a causa della sfavorevole geometria di illuminazione (controluce) e della diffusione della luce solare da parte dall'atmosfera, è praticamente impossibile sorvegliare le regioni prospetticamente vicine al Sole. Quest'ultima limitazione indica già la collocazione ideale della nostra sentinella, ovvero nei pressi del punto di librazione lagrangiana L1 posto tra la Terra e il Sole. Da qui, un oggetto in procinto di impattare il nostro pianeta sarebbe visibile con una illuminazione ottimale cioè frontale, quella che gli astronomi chiamano "opposizione". Una simile collocazione, in passato, è già stata sfruttata principalmente per i satelliti destinati all'osservazione del Sole e del mezzo interplanetario, in modo da fornire un pre-allarme in caso di tempeste solari in arrivo. Va detto che, nella realtà, i satelliti posti in questa regione non sono realmente fissi nel punto di librazione, ma devono compiere delle ampie orbite attorno ad esso, effettuando anche periodiche manovre correttive data l'instabilità di tale equilibrio in direzione longitudinale (ovvero lungo la congiungente Terra-Sole).

 Tuttavia, sorgono due problemi legati ad una simile collocazione; intanto, la distanza di 1,5 milioni di km appare marginale per le nostre esigenze e, dovendo osservare oggetti in avvicinamento entro 1,6 milioni di km illuminati frontalmente, sarebbe opportuno spostarsi ulteriormente verso il Sole, di almeno il 30%. Il secondo problema è molto più sottile e riguarda la determinazione della effettiva distanza (e quindi della reale minaccia) dell'oggetto. Questo problema non si pone per gli osservatori a Terra, dal momento che la rotazione terrestre fornisce un efficace supporto in questo senso; in effetti, dal momento della scoperta di un oggetto, basta ripeterne l'osservazione dallo stesso luogo a distanza di alcuni minuti per apprezzare il suo spostamento apparente, dovuto in realtà all'effetto di "parallasse" che si genera dalla sua vicinanza, combinata appunto con la rotazione dell'osservatore attorno all'asse terrestre; ancora meglio se l'oggetto viene osservato simultaneamente da diversi osservatori situati a migliaia di km uno dall'altro. Ma se il sistema di avvistamento è posto nello spazio, unico ed in una posizione quasi statica, risulta impossibile capire subito quale sia la reale distanza del potenziale impattatore, le sue dimensioni effettive e soprattutto la sua esatta traiettoria tridimensionale, 

 Entrambe le difficoltà, per fortuna, sono aggirabili a patto di una lieve complicazione del progetto. Il problema della marginalità sulla distanza può essere risolto installando una vela solare che, sfruttando la pressione della radiazione solare, permetta di spostare il punto di equilibrio verso il Sole. Con questo accorgimento, ad esempio, è possibile posizionare la Sentinella a una distanza maggiore del 50% (2,25 milioni di km da Terra) e questo consentirebbe di riprendere qualsiasi oggetto situato entro 1,6 milioni di km dal pianeta, sorvegliando una zona anulare posta a 45° da esso. In questa posizione, la spinta addizionale necessaria per ritrovare un equilibrio corrisponde ad una accelerazione di 1,93·10-4 m/s2 verso la Terra e, se assumiamo una massa del satellite+vela pari a un paio di tonnellate, allora tale spinta può essere fornita da una vela solare quadrata di circa 200 metri di lato o poco più. Peraltro, tale vela avrebbe il grosso vantaggio di fornire un efficace schermo alla radiazione solare per i telescopi e, deformandone leggermente la superficie, potrebbe fungere da sistema di controllo e aggiustamento dell'assetto e della traiettoria, senza consumo di combustibile!

 L'altro problema della parallasse può essere risolto se i satelliti sono due e si muovono su traiettorie simili, separate da poche migliaia di km. Questo fornirebbe una stima "istantanea" della distanza, con un errore relativo dell'ordine di alcuni punti percentuali, sufficiente a stabilire una prima stima grossolana sulla possibilità di impatto, mettendo in pre-allarme le organizzazioni preposte. Naturalmente, una distanza maggiore tra i satelliti o un protrarsi delle osservazioni nel tempo fornirebbero risultati ancora più precisi, specialmente se tali osservazioni vengono combinate con quelle di altri osservatori a Terra o nello spazio. Anche in questo caso c'è un beneficio ulteriore perchè, in caso di malfunzionamento di uno dei due satelliti, disporremo comunque di una ridondanza, (anche se dovremo rinunciare ad una stima rapida della traiettoria tridimensionale).

 Il sistema finora illustrato (e che nella figura di apertura viene indicato come "Sentinelle 1a, 1b") è ideale per rilevare oggetti che provengono dal Sistema Solare interno e che spesso sfuggono alla rilevazione da Terra perchè prospetticamente vicini al Sole. C'è però da risolvere l'altro grave problema legato alla copertura temporale, compromessa nei periodi attorno al plenilunio, quando il nostro satellite naturale rimane alto nel cielo per gran parte della notte e, con la sua elevata luminosità, ostacola irrimediabilmente la ricerca di oggetti deboli per circa 10 giorni al mese.

 La soluzione ideale a questo problema sarebbe un'altra sentinella, posta in orbita bassa attorno alla Luna. La collocazione alternativa nel punto di librazione L2 del sistema Terra-Luna, circa 50000 km oltre il satellite naturale, non è ottimale perchè, anche se garantirebbe osservazioni e comunicazioni continue con la Terra, il lento moto orbitale renderebbe impossibile una misura efficace di parallasse.

 Questo sistema dovrebbe essere dotato di un gran numero di telescopi a largo campo, per poter sorvegliare almeno metà della volta celeste; l'implementazione potrebbe essere qualcosa di simile all'osservatorio "Plato", dedicato principalmente alla ricerca di pianeti extra-solari e dotato di 26 rifrattori, ciascuno con un campo di oltre 1000 gradi quadrati parzialmente sovrapposto a quello degli altri. Nel caso di "Sentinella B", tuttavia, ciascun telescopio punterebbe una regione diversa del cielo, con sovrapposizioni minime; inoltre, sarebbe auspicabile una risoluzione angolare migliore rispetto ai 20" d'arco ai bordi del campo dei telescopi Plato.

Plato optics

A sinistra, la batteria di telescopi di Plato, in fase di test recente nella clean-room di OHB System AG; a destra lo schema ottico e alcuni renderings di un singolo telescopio.- Credits: ESA - Processing: Marco Di Lorenzo

 Volendo ridurre i costi, la Sentinella 2 in orbita lunare potrebbe venire eliminata e il suo ruolo rivestito dalle altre due, anche se non in condizioni ottimali.  Lo svantaggio principale sarebbe quello di dover rinunciare a una limitata fascia di cielo dove si trovano la Terra e la Luna, la cui luce viene schermata da un secondo paraluce, più piccolo e posto stavolta di fronte alla schiera di telescopi, come mostrato qui sotto.

schizzo

Disegno molto schematico del sistema "Sentinella 1" con parasole a destra e paraluce al centro per schermare Terra e luna. - Realizzato da Marco Di Lorenzo

  La regione "proibita" e coperta dal paraluce misurerebbe circa 2,5°x21°, circa lo 0,13% della volta celeste, tutto sommato un sacrificio accattabile data la bassa probabilità che la minaccia venga proprio da quella zona! In realtà, si potrebbe anche progettare la pseudo-orbita delle due sentinelle in maniera che, quando una di esse si trovi sopra il piano dell'eclittica, l'altra si trovi al di sotto e quindi, alla fine dei conti, anche quella fascia sarebbe comunque coperta da almeno uno dei due satelliti!

 Un aspetto essenziale è quello dei costi, in considerazione di un vantaggio solo ipotetico. Volendo ridurli ulteriormente, oltre ad eliminare la Sentinella in orbita lunare, la seconda sentinella in L1 potrebbe venire ridimensionata ed avere solo uno o due telescopi, da puntare su eventuali oggetti appena scoperti per misurarne la parallasse quando non utilizzati per osservare la suddetta "fascia proibita". Da considerare seriamente anche la possibilità di frammentare l'intero sistema utilizzando una flotta di "cube-sat", ciascuno dotato di un singolo telescopio a largo campo; essi dovrebbero essere autonomi e ridondanti, in grado di coordinarsi nelle attività.