«La vita come la conosciamo è probabilmente solo un’isola nel vasto arcipelago di possibilità della biologia. La nostra galassia ha un’enorme diversità di stelle e attorno ad esse orbitano pianeti di ogni tipo. La Terra da sola ha dato origine a miliardi di specie. Quindi non è un grande salto pensare che la vita stessa possa sorgere in una vasta gamma di forme inaspettate, che riempiono le loro atmosfere di strane molecole come la fosfina. Un giorno potremmo rilevare la fosfina in una di queste atmosfere. Questi non sarebbero posti divertenti per noi; francamente, potremmo trovarli disgustosi. D’altra parte, gli abitanti di questi pianeti probabilmente ci troverebbero disgustosi a loro volta (un problema da superare con la diplomazia interplanetaria). Tuttavia, se trovassimo la fosfina su un pianeta roccioso nella zona abitabile, dove non ci sono falsi positivi, potremmo dire di aver trovato la vita».
Questa citazione della Dr. Clara Sousa-Silva, astrofisico molecolare del MIT, tratta da un articolo pubblicato nel 2019, si riferiva ai pianeti extrasolari e chi lo avrebbe mai immaginato che, invece, avrebbe potuto riguardare anche un pianeta così vicino a noi come Venere?!
Definito il “gemello della Terra” perché con il nostro pianeta deve aver condiviso la composizione iniziale e grandi quantità d’acqua, per massa e dimensioni simili, oggi è un mondo completamente diverso ed inospitale. Con temperature torride in superficie che raggiungono i 465 gradi Celsius, un’atmosfera di anidride carbonica che genera un imponente effetto serra e nubi di acido solforico, non è certo in cima alla lista dei luoghi potenzialmente abitabili del nostro Sistema Solare. Eppure, l’idea che nella sua atmosfera possa nascondersi una nicchia di biosfera non è nuova. Ora, un team internazionale di ricercatori, guidato dalla professoressa Jane Greaves dell’Università di Cardiff, potrebbe aver trovato la prova di attività microbica tra le nuvole del pianeta e la migliore testimonianza di vita extraterrestre scoperta finora: la fosfina. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy il 14 settembre 2020.
Cos’è la fosfina e come è stata rilevata
La fosfina, composta da un atomo di fosforo e tre di idrogeno (PH3), è un gas altamente tossico ed infiammabile, con un odore caratteristico di aglio o pesce in decomposizione. È presente nelle atmosfere dei giganti gassosi del nostro Sistema Solare, Giove e Saturno, e anche nell’atmosfera terrestre in piccole quantità (dove raggiunge livelli di parti per quadrilione o trilione). Nei primi, è prodotta ad altissime pressioni e temperature nelle viscere del pianeta e, successivamente, viene trasportata negli strati atmosferici superiori. Sulla Terra, invece, è associata in modo univoco all’attività antropica o alla presenza microbica. Può essere prodotta naturalmente da alcune specie di batteri anaerobici che vivono in ambienti strettamente anossici (privi di ossigeno): discariche, paludi, fognature, tratti intestinali di animali, flatulenze e feci. Utilizzata come arma chimica durante la prima guerra mondiale, la fosfina è ancora impiegata come fumigante agricolo (per uccidere roditori, insetti, …), viene utilizzata nell’industria dei semiconduttori ed è un brutto sottoprodotto dei laboratori di metanfetamine. Ma, ironia della sorte, la fosfina, così mortale, è considerata dagli scienziati uno dei migliori indicatori della presenza di forme di vita, accanto ad altri gas noti come l’ossigeno ed il metano: una cosiddetta biosignature (o biofirma).
Il Massachusetts Institute of Technology (MIT) si interessa alla fosfina da tempo perché «è un segno robusto della presenza vita, in quanto non può essere prodotta da alcun processo geologico», scrive nel suo blog il dottor William Bains del MIT che ha partecipato alla ricerca. È molto rara e questo la rende ancora più interessante da cercare.
Venere, a due passi da casa nostra, offre un ottimo banco di prova per gli astronomi che sono alla ricerca di biofirme su esopianeti lontani. Per questo motivo, Greaves e colleghi hanno provato a cercare la fosfina nell’atmosfera del pianeta: «questo è stato un esperimento fatto per pura curiosità, davvero, sfruttando la potente tecnologia di JCMT e pensando a strumenti futuri. Pensavo che saremmo stati in grado di escludere scenari estremi, come le nuvole piene di organismi. Ma quando abbiamo ricevuto i primi accenni di fosfina nello spettro di Venere, è stato uno shock!», ha dichiarato Greaves.
La rilevazione della fosfina è stata molto complicata per il team. Le osservazioni sono iniziate con il James Clerk Maxwell Telescope (JCMT), situato vicino alla vetta Maunakea, nelle Hawaii. Alla lunghezza d’onda di 1,123 mm (o 266,9445 GHz), la squadra ha osservato Venere per cinque mattine a giugno 2017, cercando di scrutare quei strati atmosferici dove studi precedenti avevano predetto una possibile biosfera. Gli scienziati hanno dovuto fronteggiare molti problemi operativi dovuti essenzialmente ad increspature, artefatti e riflessioni del segnale. È stato un rilevamento difficile che ha richiesto una modellazione significativa ed un’analisi dei dati offline estremamente complessa con software ed algoritmi. Dopo le prime evidenze, la squadra ha pianificato le osservazioni di follow-up a marzo 2019, con i telescopi dell’Atacama Large Millimeter / submillimeter Array (ALMA) in Cile, il radiointerferometro supernoto per le scoperte cosmologiche a lunghezze d’onda millimetriche e sub-millimetriche. In questo caso, però, «l’elaborazione dei dati è stata complicata perché ALMA di solito non cerca effetti molto sottili in oggetti molto luminosi come Venere», ha spiegato la dottoressa Anita Richards, dell’ALMA Regional Centre del Regno Unito e dell’Università di Manchester. Alla fine, il risultato è stato sorprendente perché JCMT ed ALMA hanno mostrato lo stesso tipo di assorbimento alla lunghezza d’onda della fosfina. Greaves ha commentato: «Alla fine, abbiamo scoperto che entrambe gli osservatori hanno visto la stessa cosa: un debole assorbimento alla giusta lunghezza d’onda del gas fosfina, dove le molecole sono retroilluminate dalle nuvole più calde sottostanti».
I due grafici mostrano il rilevamento della fosfina nell’atmosfera di Venere con l’osservatorio JCMT (a sinistra) ed ALMA (a destra). Gli assi indicano il rapporto l:c (ossia il rapporto tra le linee di assorbimento e l’emissione continua creata dall’atmosfera del pianeta) e lo shift della velocità Doppler riferito alla lunghezza d’onda PH3. Crediti: Greaves et. al. 2020
La doppia rilevazione con due strutture diverse rende la scoperta molto interessante e promettente.
Tuttavia, anche se le probabilità che ALMA e JCMT abbiano ottenuto un picco di rumore alla stessa frequenza sembra essere una coincidenza improbabile, per la scienza la fosfina è ancora un “candidato”. Il team ha già fatto un gran lavoro per escludere qualsiasi artefatto o lettura ingannevole come il segnale dell’anidride solforosa SO2 con linee di assorbimento simili alla fosfina. La Dr Clara Sousa-Silva, che ha lavorato alla modellazione dei dati, ha detto ad OggiScienza: «SO2 ha una caratteristica spettrale molto debole vicino alla lunghezza d’onda del segnale che abbiamo visto su Venere. Per escluderlo come possibile contaminante abbiamo esaminato i dati aggiuntivi raccolti, per trovare le altre funzionalità di SO2 che sarebbero dovute esserci se l’anidride solforosa fosse stata responsabile di imitare la caratteristica PH3 (forte). Vista però la loro assenza, siamo stati in grado di stabilire un limite superiore per la quantità di SO2 che avrebbe potuto contribuire al segnale che abbiamo visto, ed era solo una piccolissima frazione. La fosfina rimane l’unica molecola conosciuta in grado di produrre la maggior parte del segnale rilevato e la molecola più plausibile per l’intero segnale. Oltre a SO2 non esiste nessuna altra molecola conosciuta con spettri conosciuti che assorbe vicino al segnale che abbiamo rilevato. Ci sono molecole esotiche per le quali noi (umani) semplicemente non abbiamo spettri, quindi è possibile che alcune di queste possano imitare il segnale che abbiamo rilevato ma trovarle su Venere in 22 ppb sarebbe estremamente inaspettato (forse più inaspettato che trovare fosfina). Conclusione: è possibile che un ignoto sconosciuto imiti il segnale della fosfina che abbiamo rilevato ma è molto poco plausibile».
I calcoli hanno tenuto conto del Venus International Reference Atmosphere (VIRA), ossia un modello multistrato che sintetizza le proprietà fisiche dell’atmosfera di Venere. Ma esiste pur sempre un’incertezza legata principalmente ai coefficienti relativi alla pressione atmosferica utilizzati nel processo di elaborazione ed al rumore del segnale.
Ai gruppi di ricerca indipendenti spetterà l’onere di validare o smentire i risultati.
Il Dr. John Carpenter, scienziato presso ALMA non coinvolto nello studio, ha dichiarato ai media di essere scettico sul rilevamento della fosfina: «il segnale era debole ed il team ha avuto bisogno di eseguire una vasta quantità di elaborazione per estrarlo dai dati restituiti dai telescopi. Quell’elaborazione potrebbe aver restituito un segnale artificiale alla stessa frequenza della fosfina». Inoltre, «lo standard per l’identificazione molecolare remota prevede il rilevamento di più impronte digitali per la stessa molecola, che si presentano a frequenze diverse sullo spettro elettromagnetico», ha sottolineato. Bains, ha confermato: «la rilevazione si è basata su una singola linea di assorbimento di lunghezza d’onda millimetrica e richiede la conferma tramite la rilevazione di caratteristiche spettrali aggiuntive della fosfina». Anche Sousa-Silva ha affrontato l’argomento. Ci ha spiegato via mail che, lei ed i suoi colleghi avevano pianificato altre osservazioni con lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy (SOFIA), il telescopio della NASA che vola a bordo di un Boeing, ma il COVID-19 si è messo in mezzo ed i programmi sono stati annullati. «È deludente non poter avere questa prova», ha detto.
Bains ci ha assicurato che il team continuerà a cercare altre evidenze: «la prima cosa che possiamo fare è controllare se la fosfina è davvero presente. Siamo molto fiduciosi che il segnale che Jane, Emily e Anita hanno visto fosse reale ma c’è una possibilità esterna che non fosse fosfina. Quindi vogliamo ripetere le osservazioni. Come dici tu, vogliamo cercare altri gas che non ci aspetteremmo nell’atmosfera di Venere, come il metano. Sfortunatamente il metano è molto più difficile da “vedere” nell’atmosfera di Venere rispetto alla fosfina, quindi “cos’altro possiamo fare per confermare o smentire?” Questa è una grande domanda. Vogliamo anche capire meglio la chimica delle nuvole di Venere. Potrebbe esserci una chimica molto strana che nessuno ha previsto. Personalmente non credo che possa produrre fosfina. Le nuvole sono costituite principalmente da acido solforico e l’acido solforico in realtà distrugge la fosfina, non la produce. Ma finché non lavoreremo di più non ne saremo certi.»
«Questo è straordinariamente eccitante perché, come Isaac Asimov (probabilmente) ha detto, “La frase più eccitante da ascoltare nella scienza non è “Eureka”ma “È strano… “. Qualcosa di inspiegabile, strano, può portare a scoperte importanti. Personalmente penso che la possibilità di vita su Venere sia ancora piccola. Penso che la possibilità di vivere ovunque sia piccola. Ma WOW! Se questa è vita, se il nostro vicino più prossimo nell’Universo, un pianeta completamente diverso dal nostro, ospita organismi viventi, ciò sarebbe al di là del sorprendente. Se c’è la minima possibilità che ci sia vita dobbiamo seguirla, andare lì e scoprire».
La fosfina nell’atmosfera di Venere
Gli spettri JCMT ed ALMA indicano un’abbondanza di circa 20 parti per miliardo (~20 ppb), cioè almeno mille volte di più di quanto troviamo sulla Terra.
«Non siamo in grado di trovare un’altra specie chimica, nota nei database, oltre a PH3 che possa spiegare le caratteristiche osservate», scrive il team. Quindi, «concludiamo che il rilevamento candidato di PH3 è robusto, per quattro motivi principali: in primo luogo, l’assorbimento è stato visto a profondità di linea comparabili con due strutture indipendenti; secondo, le misurazioni sono coerenti con metodi di elaborazione vari ed indipendenti; terzo, la sovrapposizione di spettri dalle due strutture non mostra altre caratteristiche negative così coerenti; quarto, non c’è un altro candidato ragionevole per l’assorbimento osservato, diverso da PH3».
La fosfina identificata dal team ha un segnale forte alle medie latitudini, con una concentrazione leggermente più bassa nella fascia equatoriale; mentre, non è presente ai poli. Invece, a causa di un rapporto segnale rumore troppo elevato, non è stato possibile confrontare il segnale tra fasce longitudinali del pianeta dove, ad esempio, PH3 potrebbe variare in base all’angolo di incidenza della luce solare.
A sinistra, Venere orientata così come vista da ALMA durante le osservazioni. Le longitudini maggiori di 284 erano sul terminatore o al buio (per un confronto, nelle osservazioni JCMT il pianeta era illuminato poco più della metà). La scala dei colori mostra il segnale continuo nelle osservazioni, con le calotte polari che appaiono più fredde. A destra, l’intervallo di altitudine entro il quale può avere luogo l’assorbimento da fosfina. La funzione raggiunge un picco di 56 km. ed il suo FWHM (Full Width at Half Maximum, ovvero la “larghezza a metà altezza” della funzione) si estende da 53 a 61 km. circa. Crediti: Greaves et. al. 2020
L’abbondanza di fosfina su Venere è il risultato di un equilibrio tra la sua produzione e distruzione. La stima del tasso di distruzione del PH3 venusiano (e quindi la sua durata) in funzione dell’altitudine è la chiave per comprendere i tassi di produzione di PH3 necessari per mantenere una concentrazione atmosferica di ~20 ppb.
L’emissione termica del gas ha un picco a 56 chilometri, con un range che si estende da 53 a 61 chilometri circa. Le osservazioni non sono arrivate però a determinare né se è presente a quote più basse, né un limite superiore. Ma il gas non dovrebbe comunque esistere oltre gli 80 chilometri. Il team afferma che ad altitudini superiori è probabile che la fosfina venga scomposta in pochi minuti dalle reazioni guidate dalla luce solare (UV). A bassa quota, il principale metodo di decomposizione è invece il calore. Di conseguenza, il lifetime della fosfina dipende da quanto il gas può rimanere in circolo e secondo i modelli elaborati dagli autori, questo tempo non supera i 1.000 anni «o perché viene distrutta più rapidamente o perché viene trasportata in una regione in cui viene rapidamente distrutta». Ciò implica che, per spiegare quanto osservato, la fosfina deve essere prodotta alla velocità di milioni di molecole al secondo per centimetro quadrato.
Le quote in cui sembra essere presente il gas, fanno parte della regione temperata dell’atmosfera di Venere, compresa tra i 48 ad i 60 chilometri sopra la superficie del pianeta, dove le temperature variano da 0 a 90 gradi Celsius.
Il coautore Janusz Petkowski ha commentato: «o questa è vita o una sorta di processo fisico o chimico che non ci aspettiamo accada sui pianeti rocciosi. Abbiamo davvero vagliato tutti i possibili scenari che potrebbero produrre fosfina su un pianeta roccioso. Se questa non è vita, la nostra comprensione dei pianeti rocciosi è gravemente carente».
Sousa-Silva ha aggiunto: «trovare la fosfina su Venere è stato un bonus inaspettato! La scoperta solleva molte domande, ad esempio come potrebbero sopravvivere gli organismi» a quelle condizioni.
La fosfina su Venere è stata una sorpresa. Perché?
«La presenza, anche di poche parti per miliardo, di PH3 è del tutto inaspettata per un’atmosfera ossidata (dove i composti contenenti ossigeno dominano notevolmente su quelli contenenti idrogeno)», scrivono gli autori.
William Bains ci ha spiegato via mail: «l’atmosfera venusiana è un ambiente molto “ossidato”. Ciò significa che quasi ogni atomo che può avere un atomo di ossigeno attaccato, lo cattura. Al contrario, un ambiente “ridotto” è quello in cui molti o la maggior parte degli atomi avrebbero l’idrogeno attaccato. Quindi, in un ambiente ossidato il carbonio è presente come anidride carbonica (CO2), in un ambiente ridotto è presente come metano (CH4). Ciò include l’idrogeno stesso, che in un ambiente ridotto è probabilmente presente come H2 [molecola biatomica], mentre in un ambiente ossidato come H2O [acqua]. Venere è altamente ossidata: ci sono pochissimi atomi di idrogeno nell’atmosfera e quasi tutti come H2O (con un po’ di HCl [cloruro di idrogeno]). Quindi ci aspettavamo che il fosforo fosse presente legato all’ossigeno, soprattutto perché il legame tra fosforo ed ossigeno è molto forte mentre quello tra fosforo e idrogeno è piuttosto debole».
Quindi, La fosfina è una specie di fosforo gassoso ridotto e reattivo, che non dovrebbe essere presente nell’atmosfera venusiana o in superficie.
Bains, co-autore del documento, ha guidato il team che ha esplorato altri processi naturali in atto sul pianeta potenzialmente in grado di produrre fosfina.
La presenza di PH3 implica una fonte atmosferica, superficiale o sotterranea di fosforo, o la consegna dallo spazio interplanetario.
Gli unici valori misurati del fosforo atmosferico su Venere provengono dalle missioni sovietiche Vega, lanciate nel 1984. Lo spettrometro a fluorescenza a raggi X a bordo delle sonde aveva restituito dati interessanti sulla composizione degli aerosol nelle nuvole di Venere. Cloro, zolfo e fosforo furono trovati in quantità significative tra i 47 ed i 63 chilometri di quota, con quantità minori di ferro, forse sotto forma di cloruro ferrico. Lo scorso anno durante un seminario organizzato dal Russian Space Research Institute, fu presentato anche un nuovo documento al riguardo, in lingua russa, fino a quel momento sconosciuto alla maggior parte degli scienziati internazionali presenti. Tuttavia, nessuna speciazione chimica era nota e nessun tipo di fosforo era stato segnalato sulla superficie planetaria.
Bains ha continuato: «Abbiamo passato gli ultimi due anni a cercare di capire come un processo non vivente potesse produrre fosfina nell’atmosfera acida e ricca di ossigeno di Venere. Abbiamo calcolato la velocità alla quale potrebbe essere prodotta dalle reazioni dei gas atmosferici, tra foschia di zolfo, goccioline e rocce superficiali. Abbiamo cercato di capire se i vulcani, i fulmini, i terremoti o i meteoriti potessero spiegare ciò che Jane ha visto. Non c’è modo in cui Venere possa produrre fosfina, a meno che la nostra comprensione di Venere non sia seriamente sbagliata».
Il gruppo di lavoro di Bains ha esplorato a fondo i potenziali percorsi di formazione della fosfina nell’ambiente venusiano, inclusi l’atmosfera del pianeta, gli strati di nuvole e foschia, la superficie ed il sottosuolo. Ha studiato reazioni gassose, reazioni geochimiche, fotochimica e altri processi che potenzialmente potrebbero portare alla rilevazione del gas.
Lo schema degli strati dell’atmosfera di Venere. Crediti: Seager et al. 2021.
Il vulcanesimo, ad esempio, può iniettare fosforo nell’atmosfera ma Greaves e colleghi affermano che per produrre i quantitativi osservati, Venere dovrebbe essere 200 volte vulcanicamente più attiva della Terra (ma non è così). Anche i fulmini possono generare le condizioni necessarie per produrre fosfina ma l’atmosfera non è abbastanza dinamica per questi ordini di grandezza. E gli impatti dei meteoriti scaricano diverse tonnellate di fosforo nell’atmosfera ogni anno ma non abbastanza per spiegare i livelli di fosfina osservati.
Quindi, dopo aver vagliato una serie di possibilità, il team ha concluso che il processo potrebbe essere una geochimica, una fotochimica o persino una vita microbica aerea sconosciuta. Tuttavia, negli strati intermedi, «le nuvole sono più fresche, ma fatte di acido solforico, che distrugge quasi ogni componente della vita così come la conosciamo. Qualsiasi vita su Venere deve essere radicalmente diversa dalla vita sulla Terra, e non intendo dire “ha orecchie a punta e sangue verde” . Voglio dire, non usa proteine. O DNA. O forse anche acqua», ha scritto Bains.
La vita su Venere
Per decenni è stato ipotizzato che alcune forme di vita microbiche potessero fluttuare attorno a Venere. Il rilevamento di fosfina, se confermato, sarà un elemento a sostegno di questa teoria.
I primi a suggerire l’abitabilità delle nuvole di Venere furono il noto biofisico Harold Morowitz ed il famoso astronomo Carl Sagan nel 1967. Le missioni robotiche lanciate tra il 1962 e il 1978 mostrarono che le condizioni di temperatura e pressione tra i 40 ed i 60 chilometri di altitudine, non precludono la vita microbica. Nel 2018, Sanjay Limaye dello Space Science and Engineering Center dell’Università del Wisconsin-Madison e membro della squadra della missione giapponese Akatsuki che attualmente sta ancora orbitando attorno al pianeta, ha nuovamente proposto l’idea che su Venere possano esistere cuscinetti atmosferici potenzialmente abitabili.
«Venere ha avuto tutto il tempo perché la vita evolvesse», spiegava Limaye, osservando che il pianeta potrebbe aver avuto un clima abitabile con acqua liquida sulla sua superficie per almeno 2 miliardi di anni (forse anche 3 miliardi di anni, secondo le simulazioni più recenti). «È molto più lungo di quanto si creda sia avvenuto su Marte», aveva sottolineato.
Sousa-Silva osservava: «si ritiene che, molto tempo fa, Venere avesse degli oceani e probabilmente fosse abitabile come la Terra. Diventando meno ospitale, la vita avrebbe potuto adattarsi ed ora, potrebbe trovarsi in questo stretto involucro dell’atmosfera dove ancora può sopravvivere. Questo dimostrerebbe che anche un pianeta ai margini della zona abitabile [della propria stella] potrebbe avere un’atmosfera con un guscio aereo abitabile locale».
Questa sacca tra gli strati nuvolosi potrebbe essere l’ultimo rifugio per i microrganismi venusiani. È un pensiero incredibile ma sarebbe una delle scoperte più sorprendenti della storia: sapere che non siamo soli e che, per tutto questo tempo, abbiamo avuto vicini sul pianeta più vicino!
I ricercatori hanno anche scoperto che sotto le nuvole più basse di Venere, tra i 33 ed i 47,5 chilometri, c’è uno strato di foschia misteriosa. Non se ne conosce la composizione ma solo che le particelle che la compongono misurano tra 0,4 e 4 micron di diametro (in confronto, il capello umano medio è largo circa 100 micron).
Alcuni hanno suggerito che i microbi venusiani potrebbero cadere in questo strato di foschia e sostare lì, sospesi nell’aria, proprio come le particelle di foschia di dimensioni simili. Per sopravvivere al calore della bassa atmosfera, i microbi dovrebbero rimanere dormienti, diventando spore inattive ed essiccate. Ciascuna di queste, sollevata dalle correnti d’aria fino agli strati più miti dell’atmosfera attirerebbe attorno a sé goccioline di fluido, proprio come fa la polvere (e potenzialmente i microbi nell’atmosfera terrestre), per tornare alla vita attiva. Durante il loro tempo in alto, i microbi potrebbero crescere e riprodursi, vivendo in queste goccioline per ore, mesi o addirittura anni. Fino a quando troppo grandi e pesanti, ricadrebbero nell’atmosfera inferiore, ricominciando il ciclo.
Sulla Terra, i microrganismi terrestri, per lo più batteri, possono essere trascinati nell’atmosfera, dove sono stati trovati vivi fino a 41 chilometri di quota. C’è anche un crescente catalogo di microbi noti per abitare ambienti incredibilmente difficili sul nostro pianeta, comprese le sorgenti calde di Yellowstone, le prese d’aria idrotermali nelle profondità degli oceani, i fanghi tossici delle aree inquinate e i laghi acidi di tutto il mondo. Addirittura sappiamo che «sulla Terra, la vita può prosperare in condizioni molto acide, può nutrirsi di anidride carbonica e produrre acido solforico», ha commentato Rakesh Mogul, professore di chimica biologica presso la California State Polytechnic University, Pomona, che non ha partecipato allo studio. Ma «qualsiasi vita terrestre non potrebbe tollerare l’ambiente delle nuvole venusiane. Abbiamo estremofili sulla Terra che possono sopravvivere in condizioni molto acide ma niente vicino ai livelli di acido trovati sulle nuvole di Venere», ci ha detto Sousa-Silva, a meno che non usino uno stratagemma.
«La gente ha parlato della vita nell’atmosfera di Venere ma non ha mai pensato a cosa avrebbe realmente significato», ha commentato Sara Seager, scienziata planetaria del MIT co-autrice del nuovo studio. Se fosse permanentemente confinata in una biosfera aerea, la vita su Venere dovrebbe ottenere tutti i suoi nutrienti dall’atmosfera e dovrebbe essere fotosintetica, come le piante sulla Terra.
Se solo l’1% di un millesimo della massa dello strato di foschia inferiore di Venere fosse costituito da spore essiccate, potrebbero esserci 5.500 tonnellate di microbi, hanno calcolato i ricercatori. Supponendo che questi microbi essiccati pesino circa 0,4 trilionesimi di grammo ciascuno, come sulla Terra, potrebbero esserci circa 1022 spore nella foschia di Venere (per un confronto, gli scienziati stimano che la Terra abbia circa 1024 cellule nella sua biosfera aerea).
Gli UV “unknown absorbers”
La scoperta della fosfina su Venere ha generato molti rumors: se ne parla da giorni cercando di collegare tutti i tasselli di cui disponiamo. Alcuni media hanno ipotizzato una possibile relazione con le cosiddette “unknown absorbers”, una specie non identificata che assorbe i raggi UV fra i banchi nuvolosi di acido solforico di Venere.
Le osservazioni spettroscopiche, in particolare nell’ultravioletto, mostrano che ci sono macchie scure nell’alta atmosfera del pianeta, composte da acido solforico concentrato ed altre particelle sconosciute che assorbono la luce. Questi “assorbitori sconosciuti” sono responsabili di un notevole riscaldamento solare nello strato superiore delle nuvole, dal quale scaturiscono delle maree termiche. Queste, a loro volta, svolgono un ruolo importante nel trasporto della quantità di moto e potrebbero contribuire a mantenere forti venti zonali. In sostanza, le curiose macchie sono composte da minuscole particelle che assorbono la maggior parte dell’ultravioletto e parte dello spettro visibile della luce solare, influenzando le proprietà riflettenti (albedo) e il bilancio energetico del pianeta. Gli effetti sono stati registrati nelle immagini e nei dati spettrali da Venus Express dell’ESA, Akatsuki della JAXA, dal telescopio spaziale Hubble NASA / ESA e dalla sonda MESSENGER della NASA.
I cambiamenti nell’albedo osservati negli strati superiori delle nuvole di Venere da Venus Express e da Akatsuki tra il 2006 ed il 2017. Crediti: Yeon Too Lee et al/The Astronomical Journal.
Proprio come sulla Terra, il tempo di Venere è guidato dalla radiazione solare. Limaye ha spiegato: «la differenza tra la Terra e Venere è che sulla Terra la maggior parte dell’energia del Sole viene assorbita a livello del suolo mentre su Venere la maggior parte del calore si deposita nelle nuvole. È stato osservato che l’albedo di Venere è diminuito di circa la metà tra il 2006 e il 2017, prima di tornare alla normalità. Ciò ha influenzato l’alta atmosfera, comprese le variazioni nella “super-rotazione”, che è guidata da venti che superano i 322 km/h. Questa è la prova di un legame tra il riscaldamento solare e le potenti raffiche che sono alla base delle dinamiche dell’alta atmosfera del pianeta».
Tuttavia, sebbene sia stato dimostrato che queste patch assorbenti possono influenzare il clima, non si sa ancora esattamente di cosa siano fatte. Sono state suggerite diverse sostanze come il cloruro ferrico (che, come abbiamo visto, era stato identificato dalle missioni sovietiche), allotropi di zolfo, anidride solforosa e così via, ma nessuna di queste, finora, è in grado di spiegare in modo soddisfacente le loro proprietà di formazione ed assorbimento. Limaye, dopo esser venuto a conoscenza che sulla Terra esistono batteri con proprietà di assorbimento della luce simili a quelle delle particelle venusiane non identificate, è piuttosto convinto che possa trattarsi di microrganismi. Soprattutto dopo aver notato che le particelle hanno anche all’incirca le stesse dimensioni dei microbi presenti nell’atmosfera terrestre.
L’idea è allettante ma forse ha poco a che fare con il rilevamento della fosfina. Sousa-Silva ci ha detto via mail: «se entrambi sono legati al comportamento di una biosfera aerea, allora c’è, potrebbe esserci una connessione forte. Ma questa è pura speculazione. Abbiamo alcuni buoni candidati per l’assorbitore UV che non richiedono un intervento biologico. La fosfina non è sicuramente la causa del assorbimento UV in eccesso poiché ha pochissima interazione con le lunghezze d’onda ottiche ed ultraviolette.»
La scena si ripete
E quindi? Siamo arrivati fino a qui: abbiamo raccontato di questo gas, della sua strana presenza nell’atmosfera di Venere e del fatto che potrebbe essere legato ad un’attività biologica ma ancora una volta, la ricerca della vita extraterrestre si ritrova di fatto con un pugno di mosche in mano. Beh, almeno questa è la sensazione. La verità è che confermare o smentire la vita oltre la Terra è davvero complicato. La storia delle missioni su Marte ne è la piena dimostrazione: la controversa presenza di acqua allo stato liquido in superficie, le rilevazione ambigue del metano e di sostanze organiche, gli esperimenti biologici dei lander Viking…. Sono diatribe che vanno avanti da decenni. Su Marte abbiamo inviato una marea di orbiter, lander e rover ed ancora non abbiamo alcuna conferma sulla presenza di vita passata o presente. Bains ha commentato: «Questa è davvero una buona osservazione! Abbiamo fatto atterrare robot in cerca di vita su Marte dagli anni ’70 e ancora non possiamo dirlo con certezza. Ma abbiamo imparato moltissimo su Marte. Ricordo che negli anni ’70 l’idea che Marte avesse avuto degli oceani era inaudita ed ora è ben consolidata. La differenza con Venere è che se la fosfina è prodotta dalla vita (e questo è un * grande * “se”, devo sottolinearlo), allora sappiamo che la vita è attiva oggi, non è solo vita fossile, quindi dobbiamo cercare organismi attivi. E sappiamo più o meno dove dovrebbero essere (tra le nuvole). Ma sì, qualsiasi missione iniziale su Venere sarebbe quella di ottenere una visione molto più dettagliata della chimica in corso nella sua atmosfera complicata ed ostile, quindi ci darebbe un’idea migliore di come cercare la vita nelle missioni successive».
Ora, come Marte, anche Venere tornerà presumibilmente tra le mete più ambite dell’esplorazione planetaria.
Per il prossimo futuro la NASA sta lavorando sulle missioni VERITAS (Venus Emissivity, Radio Science, InSAR, Topography, and Spectroscopy) che dovrebbe essere lanciata nel 2026 e DAVINCI (Deep Atmosphere Venus Investigation of Noble gases, Chemistry, and Imaging), proposta nell’ambito del programma Discovery. Per l’ESA, invece, potrebbero concretizzarsi le missioni proposte VEP (Venus Entry Probe) ed EnVision. Ma forse i piani delle agenzie spaziali internazionali saranno velocemente sorpassati dall’audacia delle compagnie private le quali potrebbero lanciarsi in una nuova sfida. Rocket Lab, specializzata nel lancio di payload satellitari, è stata la prima ad annunciare che intende organizzare una missione nella zona temperata dell’atmosfera di Venere per il 2023.
Articolo originariamente scritto e pubblicato su oggiscienza-it