Con un'atmosfera densa di anidride carbonica e una superficie abbastanza calda da fondere il piombo, Venere è una landa desolata e inospitale dove la vita come la conosciamo non potrebbe sopravvivere. Le nuvole del pianeta sono altrettanto ostili, ricche di goccioline di acido solforico sono abbastanza corrosive per qualsiasi essere biologico. Ma gli scienziati non sono del tutto convinti che il pianeta non possa ospitare vita anzi, a dirla tutta, sembrano quasi più convinti che possa esserci vita su Venere che su Marte!
Perché su Venere potrebbe esserci vita?
I primi a suggerire l’abitabilità delle nuvole di Venere furono il noto biofisico Harold Morowitz ed il famoso astronomo Carl Sagan nel 1967. Le missioni robotiche lanciate tra il 1962 e il 1978 mostrarono che le condizioni di temperatura e pressione tra i 40 ed i 60 chilometri di altitudine, non precludono la vita microbica. Nel 2018, Sanjay Limaye dello Space Science and Engineering Center dell’Università del Wisconsin-Madison e membro della squadra della missione giapponese Akatsuki che attualmente sta ancora orbitando attorno al pianeta, ha nuovamente proposto l’idea che su Venere possano esistere cuscinetti atmosferici potenzialmente abitabili.
"Venere ha avuto tutto il tempo perché la vita evolvesse", aveva detto Limaye, osservando che il pianeta potrebbe aver avuto un clima abitabile con acqua liquida sulla sua superficie per almeno 2 miliardi di anni (forse anche 3 miliardi di anni, secondo le simulazioni più recenti). "È molto più lungo di quanto si creda sia avvenuto su Marte", aveva sottolineato.
Tuttavia, Venere è tornata in auge quando nell'autunno 2020 un gruppo di ricercatori, guidato dalla professoressa Jane Greaves dell'Università di Cardiff, aveva annunciato di aver trovato la firma della fosfina nell'atmosfera di Venere. Il rilevamento era addirittura basato su una doppia rilevazione, con il James Clerk Maxwell Telescope (JCMT) e l'Atacama Large Millimeter / submillimeter Array (ALMA).
L'atmosfera terrestre contiene piccole quantità di fosfina che può essere solo di origine antropica o microbica. Per cui aver individuato il gas su un altro pianeta roccioso del nostro Sistema Solare ha creato non poche discussioni e aspettative che sono proseguite a colpi di paper. Alcuni gruppi hanno supportato la scoperta, per esempio analizzando i database delle vecchie missioni ma altri studi indipendenti sono arrivati a conclusioni completamente diverse. Un gruppo non è riuscito a trovare prove di fosfina né nei dati JCMT, né in quelli ALMA, suggerendo che la firma potrebbe essere attribuita all'anidride solforosa, che genera una linea spettrale nello stesso punto. Analogamente, un'altra analisi indica che l'eccessiva matematica applicata ai dati per rimuovere il rumore avrebbe introdotto spurie e falsi segnali scambiati per fosfina.
A tutto questo brusio, Greaves e colleghi avevano risposto con un secondo documento più cauto, in cui i risultati venivano definiti "provvisori" ed i dati ridimensionati: la fosfina su Venere c'è ma molto meno di quanto calcolato inizialmente. Successivamente, un altro studio ha addirittura dimostrato che il segnale della fosfina sarebbe in realtà solo anidride solforosa, un gas atteso e coerente con ciò che sappiamo sull'atmosfera del pianeta e sul suo ambiente chimico punitivo.
Per uno studio più recente, guidato dagli scienziati della Cornell University, invece, il gas sarebbe presente ma legato al vulcanesimo del pianeta. Ma questo è un altro argomento caldo perché sembrano esserci prove che su Venere ci sia attività vulcanica in corso ma nessuna certezza assoluta.
In ogni caso, fosfina o non fosfina, biofirma o processi geologici, quello che conta è che dopo decenni in cui Marte ha dominato l'esplorazione robotica nel Sistema Solare, Venere è tornata alla ribalta.
E comunque questo gas non è l'unica anomalia che fa discutere.
All'interno dell'atmosfera di Venere, gli scienziati hanno osservato anomalie curoise e firme chimiche difficili da spiegare, come piccole concentrazioni di ossigeno, o la presenza di ammoniaca che è stata rilevata negli anni '70 dalle sonde Venera 8 e Pioneer Venus e che a detta di tutti non dovrebbe essere prodotta attraverso alcun processo chimico noto sul pianeta.
I ricercatori hanno anche scoperto che sotto le nuvole più basse di Venere, tra i 33 ed i 47,5 chilometri, c’è uno strato di foschia misteriosa. Non se ne conosce la composizione ma solo che le particelle che la compongono misurano tra 0,4 e 4 micron di diametro (in confronto, il capello umano medio è largo circa 100 micron). Queste particelle vengono chiamate unknown absorbers, perché assorbono i raggi UV, formando macchie scure nell'atmosfera del pianeta vista in ultravioletto. Sono responsabili di un notevole riscaldamento solare nello strato superiore delle nuvole, dal quale scaturiscono le maree termiche. Queste, a loro volta, svolgono un ruolo importante nel trasporto della quantità di moto e potrebbero contribuire a mantenere forti venti zonali. In sostanza, le curiose macchie sono composte da minuscole particelle che assorbono la maggior parte dell’ultravioletto e parte dello spettro visibile della luce solare, influenzando le proprietà riflettenti (albedo) e il bilancio energetico del pianeta. Gli effetti sono stati registrati nelle immagini e nei dati spettrali da Venus Express dell’ESA, Akatsuki della JAXA, dal telescopio spaziale Hubble NASA / ESA e dalla sonda MESSENGER della NASA.
Alcuni hanno suggerito che i microbi venusiani potrebbero cadere in questo strato di foschia e sostare lì, sospesi nell’aria, proprio come le particelle di foschia di dimensioni simili. Per sopravvivere al calore della bassa atmosfera, i microbi dovrebbero rimanere dormienti, diventando spore inattive ed essiccate. Ciascuna di queste, sollevata dalle correnti d’aria fino agli strati più miti dell’atmosfera attirerebbe attorno a sé goccioline di fluido, proprio come fa la polvere (e potenzialmente i microbi nell’atmosfera terrestre), per tornare alla vita attiva. Durante il loro tempo in alto, i microbi potrebbero crescere e riprodursi, vivendo in queste goccioline per ore, mesi o addirittura anni. Fino a quando troppo grandi e pesanti, ricadrebbero nell’atmosfera inferiore, ricominciando il ciclo.
Altri ritengono anche che negli strati medi e inferiori della densa atmosfera che avvolge il pianeta potrebbe avvenire la fotosintesi 24 ore su 24.
Schema dell'atmosfera di Venere. Sul pianeta la copertura nuvolosa è permanente, continua e verticalmente estesa. Nello strato intermedio le temeprature sono adatte alla vita. Qui sono indicare alcune molecole rilevanti per l'abitabilità o per la vita la cui presenza è ancora non spiegata: H = bianco; C = grigio; P = arancione; O = rosso; n= blu; S = giallo.
Crediti: J. Petkowska
Non solo fosfina: c'è chi pensa all'ammoniaca
Secondo un recente documento, una collaborazione tra scienziati del MIT, dell'Università di Cardiff e dell'Università di Cambridge, esiste un percorso chimico attraverso il quale la vita potrebbe neutralizzare l'ambiente acido di Venere, creando una tasca abitabile e autosufficiente tra le nuvole. In pratica, "la vita potrebbe creare il proprio ambiente su Venere", scrivono gli autori.
Se l'ammoniaca fosse effettivamente presente, potrebbe scatenare una cascata di reazioni chimiche che neutralizzerebbero le goccioline circostanti di acido solforico e potrebbe anche spiegare la maggior parte delle anomalie osservate tra le nuvole del pianeta.
"Nessuna vita che conosciamo potrebbe sopravvivere nelle goccioline di Venere", afferma la coautrice dello studio Sara Seager, professoressa di scienze planetarie presso il Dipartimento di Scienze della Terra, dell'Atmosfera e dei Pianeti (EAPS) del MIT, implicata anche nel primo documento sulla rilevazione della fosfina. "Ma il punto è che forse c'è della vita e sta modificando il suo ambiente in modo vivibile".
Il team ha setacciato i dati delle vecchie missioni su Venere dove oltre alla presenza di ossigeno e di particelle non sferiche, ha trovato anche livelli imprevisti di vapore acqueo e anidride solforosa. Forse queste anomalie potrebbero essere legate all'ammoniaca, che è di fatto un altro mistero di Venere.
"L'ammoniaca non dovrebbe essere su Venere", ha detto Seager. "La molecona [NH3] contiene idrogeno ma c'è pochissimo idrogeno in giro. Qualsiasi gas che non appartiene al contesto del suo ambiente è automaticamente sospettato di essere prodotto dalla vita". Quindi, la domanda è: presumendo che la vita fosse la fonte dell'ammoniaca, questo potrebbe spiegare le altre anomalie nelle nuvole di Venere? I ricercatori hanno modellato una serie di processi chimici alla ricerca di una risposta.
Dalle simulazioni è emerso che se la vita producesse ammoniaca in modo efficiente, le reazioni chimiche associate produrrebbero naturalmente ossigeno. L'introduzione di ammoniaca nelle goccioline di acido solforico trasforma la loro forma precedentemente rotonda e liquida in un impasto liquido non sferico, simile al sale. Una volta che l'ammoniaca si dissolve nell'acido solforico, la reazione fa sciogliere anche l'anidride solforosa circostante, creando piccole sacche abitabili.
La presenza di ammoniaca quindi potrebbe effettivamente spiegare la maggior parte delle principali anomalie osservate nelle nuvole di Venere. I ricercatori mostrano anche che fonti come fulmini, eruzioni vulcaniche e persino i meteoriti non potrebbero produrre chimicamente la quantità di ammoniaca necessaria per spiegare le anomalie. Ma la vita sì.
Ciclo dell'ammoniaca nell'atmosfera di Venere. NH3 è prodotto localmente nelle nuvole da N2 e H2O atmosferici da microrganismi metabolicamente attivi (punti neri) che abitano le goccioline delle nuvole (cerchio bianco). La produzione di NH3 nella gocciolina aumenta il pH della gocciolina da -1 a 1 intrappolando SO2 e H2O nella gocciolina come acido solfidrico di ammonio (NH4HSO3). La produzione di sali di solfito nella gocciolina porta alla formazione di una particella grande, semisolida (e quindi non sferica) (decagono bianco). La particella grande si deposita fuori dalle nuvole dove il solfito di ammonio è sproporzionato rispetto al solfato di ammonio e al solfuro di ammonio; quest'ultimo si decompone in H2S e NH3, che, a loro volta, subiscono reazioni fotochimiche a una varietà di prodotti. La sproporzione e il rilascio di gas rompono le particelle grandi in particelle di foschia più piccole e spore di microrganismi (ovali neri), alcune delle quali ritornano allo strato di nubi. Le particelle di solfato di ammonio cadono più lontano sotto i ponti di nuvole, dove il solfato di ammonio si decompone in SO3, NH3 e H2O. Le spore rilasciate in questa fase potrebbero non essere vitali (ovali grigi), ma qualsiasi sopravvissuto potrebbe anche essere eventualmente trasportato di nuovo nelle nuvole.
Life Finder: le missioni a basso costo per cercare vita su Venere
I ricercatori del MIT hanno recentemente presentato un rapporto completo a sostegno dell'esplorazione di Venere con missioni economiche, finanziate da privati.
"La gente parla di missioni su Venere da molto tempo", afferma Seager. "Ma abbiamo creato una nuova suite di strumenti mirati e miniaturizzati per portare a termine il lavoro specifico".
Seager, che ricopre anche incarichi congiunti nei dipartimenti di Fisica e di Aeronautica e Astronautica, afferma che rispetto a Marte, Venere è il "fratello trascurato" dell'astrobiologia. Le ultime sonde ad entrare nell'atmosfera di Venere sono state lanciate negli anni '80 ed erano limitate dalla strumentazione disponibile all'epoca. E mentre la NASA e l'ESA hanno pianificato missioni su Venere (DAVINCI+ e VERITAS la prima e EnVision la seconda) per la fine del decennio, nessuna delle due cercherà segni di vita.
"Ci sono questi misteri persistenti su Venere che non possiamo davvero risolvere a meno che non torniamo direttamente lì", ha detto Seager. "Anomalie chimiche persistenti che lasciano spazio alla possibilità della vita".
"Se c'è vita su Venere, è di tipo microbico e quasi certamente risiede all'interno delle particelle delle nuvole", ha affermato Seager.
Il progetto, parzialmente finanziato dalla Breakthrough Initiatives, si chiama Venus Life Finder (VLF) e consiste in una serie di tre sonde atmosferiche appositamente concepite per valutare l'abitabilità delle nuvole venusiane.
La prima è prevista per il lancio nel 2023, gestita e finanziata dal Rocket Lab.
Il razzo Electron invierà lo stadio superiore Photon verso Venere con all'interno una piccola sonda. Il viaggio durerà cinque mesi per percorrere 61 milioni di chilometri, il tutto per trascorrere tre minuti nelle nuvole venusiane.
La compagnia privata sta sviluppando Photon per la missione della NASA Cislunar Autonomous Positioning System Technology Operations and Navigation Experiment (CAPSTONE) che sarà anche il primo lancio della Rocket Lab verso un altro corpo planetario. Lo stesso è stato scelto anche per la missione marziana Escape and Plasma Acceleration and Dynamics Explorers (ESCAPADE) del 2024. È un piccolo veicolo spaziale autosufficiente in grado di intraprendere una crociera interplanetaria di lunga durata ma ha spazio solo per 1 chilogrammo di strumentazione scientifica e così il team ha scelto un solo strumento appositamente progettato: un nefelometro ad autofluorescenza (Autofluorescing Nephelometer, AFN), che farà brillare un laser ultravioletto attraverso le nuvole del pianeta per produrre fluorescenza nativa in eventuali molecole organiche o complesse.
La fase scientifica prende di mira lo strato di nubi di Venere tra 45 e 60 km di altitudine, consentendo ~ 270 secondi di scienza
e osservazioni.
Crediti: NASA ARC
La seconda missione è prevista per il 2026 e avrà un carico utile più grande.
L'idea è di far navigare una mongolfiera tra le nuvole del pianeta per una o due settimane e condurre esperimenti estesi. La sonda lavorerà a una altitudine fissa di 52 chilometri, rilasciando però quattro mini-sonde per indagare le condizioni di abitabilità nella regione nuvolosa inferiore. Queste misureranno i profili atmosferici verticali in punti selezionati.
Crediti: J. Petkowska
Questa missione farà da apripista all'ultima che vuole riportare campioni dell'atmosfera di Venere sulla Terra.
Il concetto prevede una sorta di piattaforma galleggiante tra le nuvole di Venere, a un'altitudine di interesse, che funga anche da base di lancio per il trasporto dei campion in orbita. Nel complesso servirà un lanciatore pesante, un sistema di ingresso in atmosfera, un orbiter, una piattaforma aerea galleggiante, un veicolo di ascesa (VAV), un veicolo per il rientro a Terra (ERV) e uno di ingresso nell'atmosfera terrestre (EEV).
Intanto si pensa anche al software di volo
Nel frattempo, gli ingegneri della West Virginia University (WVU), sostenuti dalla NASA, stanno sviluppando un software che consentirà a palloni robotici aerei (aerobot) di studiare l'atmosfera di Venere.
La ricerca è guidata da Guilherme Pereira e Yu Gu, due professori associati del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale della WVU.
L'ispirazione è partita dal concetto di missione High Altitude Venus Operational Concept (HAVOC), una serie di escursioni di 30 giorni con equipaggio tra le nuvole venusiane, utilizzando grandi veicoli leggeri. Sebbene questa strada sia stata abbandonata, ha stimolato altre proposte, come la Venus Atmosphere Maneuverable Platform (VAMP), un dirigibile ibrido in fase di sviluppo dalla Northrop Grumman per l'Agenzia Spaziale Americana. Queste idee prevedono il volo durante il giorno, sfruttando l'energia solare per ricaricare le batterie, e il galleggiamento in aria durante le ore notturne. I ricercatori della WVU stanno elaborando un software in grado di controllare questo complesso sistema di navigazione nel modo più efficiente da un punto di vista energetico.
Il programma su cui Pereira e Gu stanno attualmente lavorando ha tre obiettivi principali: ottimizzare i percorsi di viaggio, localizzare gli aerobot nell'atmosfera di Venere e coordinare le flotte di aerobot per lavorare insieme.
Pereira e Gu stimano che la galleggiabilità del veicolo impedirà agli aerobot di scendere al di sotto di un'altitudine di 50 chilometri e avrà una durata (a quota di crociera) da diversi mesi a un anno. I dati ottenuti da questa e altre missioni su Venere dovrebbero far luce sull'evoluzione dell'atmosfera del pianeta, sulla possibilità che Venere sia ancora vulcanicamente attiva e fornire indizi per affrontare l'effetto serra qui sulla Terra.
WAMP. Crediti: Northrop Grumman