Nei giorni scorsi, il "solito" Elon Musk (che una ne fa e dieci ne pensa) ha diffuso un criptico messaggio su twitter, riportato qui sopra e che recita: "Dobbiamo oltrepassare il Grande Filtro". A cosa si riferiva?
Per capirlo, conviene ripercorrere la strada che ha portato ad elaborare questo concetto; essa riguarda il variegato settore dell'esobiologia e della ricerca di segnali extraterrestri. Cominciamo da un celebre paradosso enunciato da un premio Nobel italiano ben 70 anni fa.
Il paradosso di Fermi e l'equazione di Drake
Nel 1950 il nostro Enrico Fermi, durante una amichevole discussione con alcuni colleghi a Los Alamos, fece un ragionamento semplice e disarmante: se davvero il nostro universo pullula di vita e di civiltà intelligenti, dove sono tutti? Detto in modo più articolato, dato che presumibilmente molte di queste civiltà sono apparse diversi millenni prima della nostra, adesso sarebbero molto più avanzate di noi e dovrebbero ormai avere colonizzato la galassia. Di conseguenza, noi dovremmo ricevere continue visite da parte loro o perlomeno intercettare numerosi messaggi inviati da questi alieni evoluti. In effetti, negli anni successivi, all'enunciazione del paradosso il progetto SETI iniziò indagini sistematiche in questo senso, rivelando con una statistica sempre più ampia e significativa che tali messaggi effettivamente non ci sono, oppure sono molto ben nascosti ai nostri occhi. Questa assenza di chiari segnali è espressa dal termine "Grande Silenzio".
Queste constatazioni gettano un'oscura ombra sui molti entusiasmi riguardanti il presunto numero elevatissimo di civiltà nella Via Lattea, numero che viene spesso calcolato sulla base della celebre equazione di Drake, enunciata nel 1960:
N = R* · fp · fa · fl · fi · fc · L
dove N è il numero di civiltà extraterrestri presenti e con le quali è possibile stabilire una comunicazione, R* è il tasso medio annuo di formazione stellare, fp è la frazione di stelle che possiedono pianeti, fa è la percentuale di pianeti potenzialmente abitabili, fl quella di pianeti su cui si è effettivamente sviluppata la vita, fi la probabilità che l'evoluzione di queste forme di vita porti alla comparsa di forme intelligenti, fc la frazione di civiltà intelligenti con una tecnologia adatta, capaci e desiderosi di comunicare, e L è la durata media di queste civiltà evolute. Le stime che ne derivano oscillano molto ma tendono spesso ad essere ottimistiche, con migliaia o addirittura milioni di civiltà evolute nella Via Lattea. Quando Frank Drake formulò l'equazione nel 1960, fece ipotesi piuttosto conservative e stimò che fossero solo una decina ma, all'epoca, solo il valore di R* era noto in maniera attendibile grazie agli studi astronomici. Oggi, grazie alla scoperta degli esopianeti, abbiamo stime empiriche anche per i successivi due termini del prodotto, anche se ancora piuttosto approssimative (indicativamente, R*≈ 7 stelle/anno, fp ≈ 0,4 efa ≈ 0,15). Invece, i rimanenti 4 termini sono ancora oggetto di vivace dibattito e affetti da una grande incertezza, dal momento che abbiamo un solo esempio concreto di pianeta in cui la vita si è sicuramente sviluppata ed ha portato ad una civiltà tecnologica: il nostro!
Il sospetto di chi scrive è che, su queste valutazioni, incidano in maniera più o meno conscia alcune frequenti convinzioni errate, riguardanti l’evoluzione della razza umana. La prima è pensare che ci sia un finalismo di tipo antropocentrico e spesso di ispirazione religiosa nel processo che ha portato alla comparsa del genere umano; da qui derivano le altre due diffuse ed erronee convinzioni, quella di ritenere che la vita sulla Terra abbia seguito una progressione evolutiva graduale e inevitabile (andando sempre da organismi più semplici verso quelli più complessi e culminando nell’Homo Sapiens) e quella di credere che l’uomo, essendo la massima espressione dell’evoluzione, non sia destinato a estinguersi o evolversi e continuerà a dominare, immutabile, per milioni o addirittura miliardi di anni. I paleontologi (ed il buon senso) ci dicono che non è affatto così: l'evoluzione è un processo "cieco" e casuale, anche se i suoi strumenti si sono affinati nel tempo; lo dimostrano le frequenti involuzioni e le innumerevoli specie estinte individualmente o nel corso di catastrofiche estinzioni di massa. Ma soprattutto (ne parleremo anche in seguito) lo dimostra la scala dei tempi, con una evoluzione lentissima e incerta nei primi miliardi di anni, che è divenuta rapida se non frenetica solo nell'ultimo periodo, grazie alla emersione (anch'essa casuale) di meccanismi evolutivi più efficienti, come la riproduzione sessuata, una sorta di "evoluzione dell'evoluzione" o "meta-evoluzione".
In termini più semplici, volendo rimanere nell'ambito di un pensiero logico-scientifico lontano da abbagli metafisici e mistici, l'evoluzione deve essere frutto del caso e quindi non ha finalismi né risultati inevitabili ma solo adattamenti continui ed imperfetti alle mutate condizioni ambientali. Non esistono quindi specie migliori di altre o addirittura perfette ed immutabili e ci dobbiamo rassegnare ad estinguerci/evolverci anche noi, in un modo o nell'altro. Questa estinzione potrebbe essere traumatica ed avvenire nel corso di questo secolo, magari causata dalla nostra miope stupidità nel cambiare il clima e nell'impoverire il pianeta. Oppure potrebbe essere una evoluzione "deliberata" e mediata dalla nostra intelligenza, permettendoci di resistere ancora per molto tempo ma non certo nella forma attuale.
In ogni caso, questa prospettiva logico-statistica fa abbassare decisamente le stime che molti hanno dato sui termini finali dall'equazione di Drake.
Il "Grande Silenzio" e il "Grande Filtro"
Le considerazioni fatte finora portano a pensare che, di fronte al "Grande Silenzio" che osserviamo nelle comunicazioni aliene, uno o più parametri nella seconda parte dell'equazione di Drake siano molto più piccoli di quanto stimato in precedenza. In caso contrario, a quest'ora dovremmo avere rivelato le trasmissioni da parte di numerose altre civiltà aliene nella Via Lattea e magari anche dalle galassie più vicine. Esiste anche un'altra possibile spiegazione, legata alla possibilità che queste civiltà utilizzano sistemi di comunicazione non basati su onde elettromagnetiche oppure che per qualche motivo non vogliono rivelare la loro presenza; tuttavia, sono ipotesi difficili da giustificare anche perché è molto improbabile che TUTTE le civiltà abbiano deciso di comportarsi allo stesso modo!
Arriviamo così al concetto di "Grande Filtro", elaborato dal prof. Hanson oltre 30 anni fa. Il ricercatore di Oxford inizia ripercorrendo i nodi cruciali del processo che ha consentito la comparsa di una razza intelligente e tecnologica sul nostro pianeta e ne identifica 8 nel passato (ma potrebbero essere di più) e uno nel futuro, necessario affinché una specie abbandoni il proprio pianeta di origine e possa davvero espandersi nella Galassia, sottraendosi alla probabile estinzione:
- Formazione di sistema planetario adatto (giuste condizioni fisico-chimiche);
- comparsa di molecole autoreplicanti (ad esempio RNA);
- sviluppo di organismi semplici monocellulari (cellule procariote);
- cellule più complesse (archea ed eucarioti);
- riproduzione sessuata;
- organismi pluricellulari;
- comparsa di animali con cervello grande e capacità manipolatorie;
- sviluppo di una tecnologia (oggi);
- espansione/colonizzazione multiplanetaria e interstellare.
Se ci riflettiamo, il punto 1 è direttamente collegato alle prime due frequenze (fp e fa) nell'equazione di Drake mentre le ultime due frequenze sono legate ai punti 7,8; l'ultimo punto è connesso al termine finale L. L'esistenza del "Grande Silenzio" implica che uno o più passaggi tra quelli elencati siano estremamente improbabili e quindi che "qualcuno ha sbagliato", nel senso che la corrispondente stima fatta in precedenza dagli esperti dei settori coinvolti (astrofisici, chimici, biologi, paleontologi e antropologi) era decisamente ottimistica. Questa probabilità bassissima costituisce appunto il "Grande Filtro", una sorta di "setaccio statistico" che, nella stragrande maggioranza dei casi, impedirebbe di giungere ai punti 8 e 9; l'ultimo punto rappresenta proprio il filtro cui accennava Elon Musk ma io avrei aggiunto un ulteriore filtro prima di questo, riguardante il superamento delle tendenze autodistruttive derivanti dalla tecnologia (guerre nucleari o batteriologiche e cambiamenti climatici).
Alcuni ricercatori preferiscono parlare di "tempo medio" affinché si realizzi uno dei suddetti salti evolutivi, piuttosto che di probabilità; tuttavia questo tempo medio può essere molto lungo, al limite quasi infinito. Noi diamo per scontato che si realizzino tutti gli step ma, come spiegato nel precedente paragrafo, questo deriva da una visione in qualche modo "antropocentrica" e finalistica, la più semplice quando si guarda il passato del nostro pianeta. Tuttavia, è una visione parziale e ingannevole: non c'è alcuna garanzia che le cose vadano dappertutto così solo perché da noi è già successo!
La storia della vita sulla Terra ci può dare indizi su quale sia la probabilità dei passaggi cruciali sopra descritti. Considerare gli intervalli di tempo intercorsi trai vari nodi evolutivi, infatti, è l'unico modo per poter fare una stima empirica delle loro probabilità e lo stesso Hanson, nel suo articolo, prova a farlo. Egli nota, in particolare, che gli intervalli che intercorrono tra i primi cinque snodi sono tra loro confrontabili, ovvero compresi tra 500 e 800 milioni di anni. Si tratta di lassi temporali enormi, che fanno capire quanto difficili e improbabili fossero quei passaggi; ciascuno di essi va pensato come il risultato di una serie di combinazioni favorevoli che si devono presentare nella giusta sequenza e in un limitato lasso di tempo; ogni successo fu preceduto, presumibilmente, da una miriade di fallimenti. Hanson parla di "hard steps" o passaggi difficoltosi e stima che essi si presentino in media ogni 300 milioni di anni. Il prossimo passaggio, invece, potrebbe essere imminente e sarà cruciale per la nostra specie perché ne decreterà la scomparsa o, al contrario, il definitivo salto di qualità verso una comunità interstellare.
Hanson prende in considerazione anche la possibilità che i nostri mezzi siano insufficienti a vedere lo "zoo" di forme di vita aliene che ci circondano e prende in considerazione persino l'esotica idea che siano annidate nella materia oscura, una sorta di "universo parallelo" di cui vediamo solo l'ombra gravitazionale...
Non troviamo vita nell'Universo? Forse questa è una buona notizia!
Ipotesi esotiche a parte, c'è una domanda importante da fare, e ci riguarda tutti da vicino: il "Grande Filtro" risiede in un evento che abbiamo già incontrato nel passato, o è una barriera che si staglierà presto davanti a noi? Se la risposta giusta è la prima, allora si tratta di una buona notizia, altrimenti dobbiamo cominciare a preoccuparci seriamente per il nostro futuro (e molti lo fanno già!).
Il motivo di tale affermazione è il seguente: se la comparsa della vita intelligente è un evento intrinsecamente rarissimo, anche quando ci sono le giuste condizioni perché ciò avvenga come è successo sulla Terra, allora vuol dire che siamo stati estremamente fortunati e, anche se siamo soli o comunque pochissimi nell'Universo, probabilmente ci aspetta un radioso futuro di espansione su scala galattica, senza particolari ostacoli.
Se, al contrario, cominciamo a scoprire frequenti forme di vita su altri pianeti, dopo gli entusiasmi iniziali la cosa deve farci preoccupare. L'implicazione, infatti, sarebbe quella che la comparsa della e l'evoluzione vita non siano così rare; pertanto, se oggi non riusciamo a vedere una sola civiltà intelligente diffusa nella galassia, allora deve esserci un processo inevitabile, probabilmente legato allo sviluppo stesso di una specie tecnologica, che ne decreta la distruzione prima di poter fare il "grande balzo" nell'Universo. Del resto, di minacce concrete alla sopravvivenza del genere umano ne vediamo parecchie oggi: in primo luogo i cambiamenti climatici, poi i rifiuti e il degrado dell'ambiente, con annessi conflitti, migrazioni ed epidemie; anche le nuove tecnologie (ingegneria genetica, intelligenza artificiale e nanotecnologie), che promettono grandi cose, nascondono grandi insidie. In tal caso, saremmo condannati ad estinguerci come già successo a innumerevoli specie "evolute" prima di noi!
La situazione sarebbe tanto più drammatica quanto più complesse sono le forme di vita scoperte su altri pianeti, perché questo significherebbe scartare ulteriori livelli del grande filtro, avvicinandosi alla situazione in cui ci troviamo oggi sulla Terra. L'idea è espressa in maniera simpatica e brillante nel video allegato in fondo a questo articolo (purtroppo in inglese). E' proprio questo il "grande filtro" di cui parla Musk. Il fondatore di Space-X ha preso molto sul serio questa linea di pensiero e sta spingendo nella direzione di una espansione rapida della razza umana verso altri pianeti perché, come molti, vede i segnali di una possibile autodistruzione e ritiene che l'unica salvezza risieda in una civiltà "multiplanetaria", con delle colonie indipendenti in cui parecchi individui sarebbero in grado di sopravvivere anche se la Terra dovesse subire una catastrofe. Qualcuno potrebbe obiettare che è molto più semplice cercare di porre rimedio ai danni fatti qui sulla Terra, invece che investire in improbabili colonie su Marte o altrove. Purtroppo, però, c'è la concreta possibilità che abbiamo già superato il punto di non ritorno (questo è probabilmente vero per i cambiamenti climatici) e quindi non possiamo permetterci di correre questo rischio senza avere un "piano B" come quello di Musk. Personalmente, credo che Elon abbia ragione da vendere e che la sua lungimiranza non vada sottovalutata!
Riferimenti
http://mason.gmu.edu/~rhanson/greatfilter.html
https://www.nickbostrom.com/extraterrestrial.pdf