Scritto: Mercoledì, 10 Maggio 2023 05:34 Ultima modifica: Mercoledì, 10 Maggio 2023 05:53

I brillamenti solari potrebbero aver innescato la vita sulla Terra


I brillamenti solari possono essere eventi catastrofici per qualsiasi essere vivente si trovi nelle vicinanze. Eppure un nuovo studio indica che la giusta quantità di energia potrebbe aver dato il via alla vita sulla Terra.

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I brillamenti solari potrebbero aver innescato la vita sulla Terra
Crediti: NASA's Goddard Space Flight Center

Bombardando in laboratorio una replica dell'atmosfera primordiale terrestre con particelle solari simulate e fulmini, i ricercatori hanno creato amminoacidi e acidi carbossilici, due degli ingredienti di base essenziali per le proteine e la vita.
"Abbiamo, per la prima volta, dimostrato sperimentalmente che i tassi di produzione di amminoacidi e acidi carbossilici in miscele di gas non riducenti... a causa dell'irradiazione di protoni possono superare significativamente i tassi di produzione di queste molecole tramite raggi cosmici galattici e scariche elettriche", scrive il team guidato dal chimico Kensei Kobayashi della Yokohama National University in Giappone. "Ciò fornisce prove sperimentali a sostegno dell'importanza degli eventi causati dalle particelle energetiche solari nel giovane Sole come fonti di energia necessarie per la sintesi delle molecole biologicamente importanti depositate e accumulate in diversi ambienti geologici acquatici della Terra primordiale".

 

Le origini della vita

La Terra è l'unico posto dell'Universo in cui, almeno per il momento, sappiamo per certo esistere la vita. Circa 4 miliardi di anni fa si sono create le condizioni chimiche ideali di partenza ma i tasselli del puzzle sono difficili da mettere insieme.

La teoria più nota è nata alla fine del 1800, quando gli scienziati hanno ipotizzato che la vita potrebbe essere iniziata in un "piccolo stagno caldo": una zuppa di sostanze chimiche, energizzate da fulmini, calore e altre fonti di energia, che si sarebbero mescolate insieme in quantità concentrate per formare molecole organiche.
Nel 1953, Stanley Miller dell'Università di Chicago cercò di ricreare in laboratorio queste condizioni primordiali. Riempì una camera chiusa con metano, ammoniaca, acqua e idrogeno molecolare, gas ritenuti prevalenti nell'atmosfera primordiale della Terra e accese ripetutamente una scintilla elettrica per simulare un fulmine. Una settimana dopo, Miller e il suo consulente Harold Urey analizzarono il contenuto della camera scoprendo che si erano formati 20 diversi amminoacidi.

"È stata una grande rivelazione", ha sottolineato Vladimir Airapetian, un astrofisico del Goddard Space Flight Center della NASA e coautore del nuovo articolo. "Dai componenti di base dell'atmosfera della Terra primordiale, puoi sintetizzare queste complesse molecole organiche".

Ma gli ultimi 70 anni questa interpretazione è diventata più complicata.
Gli scienziati ora ritengono che l'ammoniaca (NH3) e il metano (CH4) fossero molto meno abbondanti e che i componenti principali dell'atmosfera terrestre primordiale fossero, invece, anidride carbonica (CO2) e azoto molecolare (N2), che richiedono più energia per essere scomposti. Questi gas possono ancora produrre amminoacidi ma in quantità notevolmente ridotte.

Alla ricerca di fonti energetiche alternative, alcuni scienziati hanno indicato come possibile fonte le onde d'urto delle meteore. Altri hanno citato la radiazione ultravioletta solare. Airapatian, utilizzando i dati della missione Kepler della NASA, ha indicato una nuova idea: le particelle energetiche del nostro Sole.

Kepler ha osservato stelle lontane in diverse fasi del loro ciclo di vita ma i suoi dati forniscono indizi sul passato del nostro Sole.
Nel 2016, Airapetian ha pubblicato uno studio che suggerisce che durante i primi 100 milioni di anni della Terra, il Sole era circa il 30% più debole rispetto a ora. Ma i "superflare" solari, cioè le potenti eruzioni che oggi si verificano solo una volta ogni 100 anni circa, sarebbero scoppiati una volta ogni 3-10 giorni. Questi eventi lanciano particelle alla velocità della luce che si scontrano regolarmente con la nostra atmosfera, dando il via a reazioni chimiche.


Testing di una teoria

Non appena il documento del 2016 è stato pubblicato, il team della Yokohama National University dal Giappone ha contattato Airapetian. 
Il dottor Kobayashi, professore di chimica, aveva passato gli ultimi 30 anni a studiare la chimica prebiotica. Stava cercando di capire come i raggi cosmici galattici, le particelle in arrivo dall'esterno del nostro Sistema Solare, avrebbero potuto influenzare l'atmosfera della Terra primordiale.
"La maggior parte dei ricercatori ignora i raggi cosmici galattici perché richiedono attrezzature specializzate, come gli acceleratori di particelle", ha detto Kobayashi. "Ho avuto la fortuna di avere accesso a molti di essi vicino alle nostre strutture", scoprendo che piccole modifiche alla configurazione sperimentale potrebbero mettere alla prova anche le idee di Airapetian, ha spiegato Kobayashi.

Airapetian, Kobayashi e i loro collaboratori hanno creato una miscela di gas corrispondente all'atmosfera della Terra primordiale così come la intendiamo oggi. Hanno combinato anidride carbonica, azoto molecolare, acqua e una quantità variabile di metano. (La proporzione di metano nell'atmosfera primordiale della Terra è incerta ma ritenuta bassa). Quindi, hanno bombardato la miscela di gas con protoni (simulando particelle solari) o con scariche di scintille (simulando fulmini), replicando l'esperimento Miller-Urey per confronto.


Le particelle solari sembrano una fonte di energia più efficiente dei fulmini

Così, il team ha scoperto che finché la percentuale di metano era superiore allo 0,5%, i protoni sparati sulla miscela di gas producevano quantità rilevabili di amminoacidi e acidi carbossilici. Ma le scariche di scintille richiedevano una concentrazione di metano di circa il 15% per riuscire a formare gli amminoacidi.
"E anche al 15% di metano, il tasso di produzione degli amminoacidi da parte dei fulmini è un milione di volte inferiore a quello dei protoni", ha aggiunto Airapetian. I protoni tendevano anche a produrre più acidi carbossilici (un precursore degli amminoacidi) rispetto a quelli accesi dalle scariche di scintille.

Inoltre, spiega Airapetian, "durante le condizioni fredde non si hanno mai fulmini e la Terra primordiale era sotto un sole piuttosto debole".
"Questo non significa che [la vita] non possa provenire da un fulmine ma il fulmine ora sembra meno probabile e le particelle solari sembrano più probabili". 
Questi esperimenti suggeriscono che il nostro giovane Sole attivo avrebbe potuto catalizzare i precursori della vita più facilmente e, forse prima, di quanto ipotizzato in precedenza.

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Elisabetta Bonora

Nella vita lavorativa mi occupo di web, marketing e comunicazione, digital marketing. Nel tempo libero sono un'incontenibile space enthusiast e mamma di Sofia Vega.
Mi occupo di divulgazione scientifica, attraverso questo web, collaborazioni con riviste del settore e l'image processing delle foto provenienti dalle missioni robotiche. Appassionata di astronomia, spazio, fisica e tecnologia, affascinata fin da bambina dal passato e dal futuro. Nel 2019 è uscito il mio primo libro "Con la Cassini-Huygens nel sistema di Saturno" (segui su LinkedIn le mie attività professionali).
Amo le missioni robotiche inviate nel nostro Sistema Solare "per esplorare nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita, per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima!" ...Ovviamente, è chiaro, sono una fan di Star Trek!

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