Scritto: Lunedì, 28 Luglio 2014 05:25 Ultima modifica: Sabato, 27 Dicembre 2014 21:15

Tre gioviani caldi più aridi del previsto


Un team internazionali di astronomi, utilizzando i dati del telescopio spaziale Hubble, ha studiato il vapore acqueo contenuto nelle atmosfere dei pianeti extrasolari in orbita intorno a stelle simili al Sole.

I tre pianeti presi in esame sono HD 189733b, HD 209458b, e WASP-12b, distanti tra i 60 e i 900 anni luce da noi.

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Gioviano caldo

Credit: Haven Giguere, Nikku Madhusudhan

Un team internazionali di astronomi, utilizzando i dati del telescopio spaziale Hubble, ha studiato il vapore acqueo contenuto nelle atmosfere dei pianeti extrasolari in orbita intorno a stelle simili al Sole.

I tre pianeti presi in esame sono HD 189733bHD 209458b, e WASP-12b, distanti tra i 60 e i 900 anni luce da noi.
Sono tre gioviani caldi, ossia pianeti grandi come Giove o anche di più, in orbita molto stretta intorno alla loro stella madre, molto più vicino di quanto Mercurio disti dal Sole.

Questi mondi hanno temperature superficiali elevate, tra i 900 e i 2.200 gradi Celsius, il che li rende i migliori candidati per rilevare vapore acqueo nelle loro atmosfere.

HD 189733b è a 63 anni luce di distanza ed è stato il primo pianeta extrasolare ad essere osservato nella luce visibile.
La sua atmosfera era apparsa di un intrigante blu cobalto, con un albedo simile a quello del nostro pianeta tanto da sembrare il "Pale Blue Dot" extrasolare, ma solo in apparenza.
Ha un'orbita molto stretta intorno alla sua stella che strappa dai 100 ai 600 milioni di chilogrammi di massa al secondo dalla sua atmosfera. La temperatura superficiale diurna è di circa 1.000 gradi Celsius e la turbolenta atmosfera è dominata da piogge di vetro e venti a 7.000 chilometri orari.

Su HD209458b e WASP-12b, invece, era già stata rilevata la presenza di acqua nelle rispettive atmosfere e HD209458b sembrava avere le concentrazioni maggiori.

Ma la sorpresa è stata che, tutti e tre i pianeti hanno solo tra un decimo ed un millesimo della quantità d'acqua prevista dalle teorie sulla formazione planetaria, con la misura migliore a favore di HD 209458b, fra 4 e 24 parti per milione.

I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Astrophysical Journal Letters.

H2O abundances in the atmospheres of three hot Jupiters [abstract]

The core accretion theory for giant planet formation predicts enrichment of elemental abundances in planetary envelopes caused by runaway accretion of planetesimals, which is consistent with measured super-solar abundances of C, N, P, S, Xe, and Ar in Jupiter's atmosphere. However, the abundance of O which is expected to be the most dominant constituent of planetesimals is unknown for solar system giant planets, owing to the condensation of water in their ultra-cold atmospheres, thereby posing a key unknown in solar system formation. On the other hand, hundreds of extrasolar hot Jupiters are known with very high temperatures (>~1000 K) making them excellent targets to measure H2O abundances and, hence, oxygen in their atmospheres. We constrain the atmospheric H2O abundances in three hot Jupiters (HD 189733b, HD 209458b, and WASP-12b), spanning a wide temperature range (1200-2500 K), using their near-infrared transmission spectra obtained using the HST WFC3 instrument. We report conclusive measurements of H2O in HD 189733b and HD 209458b, while that in WASP-12b is not well constrained by present data. The data allow nearly solar as well as significantly sub-solar abundances in HD 189733b and WASP-12b. However, for HD 209458b, we report the most precise H2O measurement in an exoplanet to date that suggests a ~20-135 sub-solar H2O abundance. We discuss the implications of our results on the formation conditions of hot Jupiters and on the likelihood of clouds in their atmospheres. Our results highlight the critical importance of high-precision spectra of hot Jupiters for deriving their H2O abundances.

"La nostra misurazione dell'acqua in uno dei pianeti, HD 209458b, è la misura di massima precisione per un qualsiasi composto chimico che abbiamo ottenuto su un pianeta al di fuori del Sistema Solare", ha detto Nikku Madhusudhan, dell'Institute of Astronomy delll'Università di Cambridge, autore principale dello studio.

I dati utilizzati dal team derivano dalle analisi spettroscopiche nel vicino infrarosso della luce della stella madre, filtrata dall'atmosfera dei rispettivi pianeti, durante i loro transiti davanti ad essa, osservati dalla Terra.

I risultati dello studio mettono in discussione la teoria sulla formazione dei pianeti e i modelli di migrazione dei pianeti giganti.
La teoria comunemente accetta per la formazione dei pianeti giganti nel nostro Sistema Solare è nota come teoria dell’accrescimento del nucleo (core accretion model), in cui il pianeta si forma dal disco protoplanetario della giovane stella, principalmente composto da idrogeno, elio e particelle di ghiaccio e polveri. Queste ultime aderiscono tra loro, formando grani più grandi, fino ai planetesimi che, a loro volta, si fondono in un pianeta. Contemporaneamente, la gravità del pianeta appena formato inizia ad attirare altri gas dal disco. Tra questi quello più diffuso dovrebbe essere l'ossigeno che può trasformarsi in vapore acqueo atmosferico. Pertanto, i livelli di vapore acqueo molto bassi individuati dal team mal si sposano con le previsioni attuali, sollevando nuovi interrogativi.

Inoltre, "Questi risultati mostrano quanto potrebbe essere difficile rilevare acqua su pianeti extrasolari simili alla Terra nella nostra ricerca della vita altrove", sottolinea Madhusudhan.
"Gli strumenti dei telescopi dl futuro che verranno impiegati per la ricerca di biosegnature potrebbero aver bisogno di una maggiore sensibilità per tenere conto della possibilità che esistono pianeti significativamente più aridi del previsto", ha aggiunto.

Si potrebbe anche valutare la possibilità che il vapore acqueo, in realtà, sia presente nelle atmosfere dei pianeti studiati ma nascosto da altri strati nuvolosi di diversa natura. Un'ipotesi, tuttavia, poco plausibile da un punto di vista fisico perché implicherebbe che particelle pensanti riescano ad addensarsi negli strati più elevati delle atmosfere.
Se invece, la carenza di acqua verrà confermata con le prossime osservazioni, bisognerà allora rivedere le condizioni in cui questi pianeti si sono formati.

Letto: 7750 volta/e Ultima modifica Sabato, 27 Dicembre 2014 21:15

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Elisabetta Bonora

Nella vita lavorativa mi occupo di web, marketing e comunicazione, digital marketing. Nel tempo libero sono un'incontenibile space enthusiast e mamma di Sofia Vega.
Mi occupo di divulgazione scientifica, attraverso questo web, collaborazioni con riviste del settore e l'image processing delle foto provenienti dalle missioni robotiche. Appassionata di astronomia, spazio, fisica e tecnologia, affascinata fin da bambina dal passato e dal futuro. Nel 2019 è uscito il mio primo libro "Con la Cassini-Huygens nel sistema di Saturno" (segui su LinkedIn le mie attività professionali).
Amo le missioni robotiche inviate nel nostro Sistema Solare "per esplorare nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita, per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima!" ...Ovviamente, è chiaro, sono una fan di Star Trek!

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