Questo è uno dei tre progetti studiati presso l'Institute for Advanced Concepts (NIAC) della NASA ad aver ricevuto finanziamenti per la Fase III. Il NIAC è famoso per supportare idee stravaganti nei campi dell'astronomia e dell'esplorazione spaziale e da quando è entrato in funzione, ha sostenuto un'ampia varietà di programmi. Quello in questione ha ricevuto 2 milioni di dollari di fondi, andati al JPL, il cui scienziato Slava Turyshev è stato il ricercatore principale delle prime due fasi. Il concetto di missione è descritto in un white paper appena uscito.
Verso SGL il 25 anni
L'effetto previsto dalla teoria generale della relatività di Albert Einstein può essere applicato anche alla nostra stella perché qualsiasi corpo celeste, con una massa importante, esercita una forza di gravità tale da deviare la luce che ci passa accanto.
L'effetto Solar Gravitational Lens (SGL) si troverebbe da qualche parte tra le 550-1000 Unità Astronomiche (UA), dove per 1 UA si intende la distanza media Terra-Sole. Una distanza pazzesca se si pensa che la Voyager 1, dopo 44 anni di viaggio, si trova a poco più di 157 UA dal Sole. Ma Turyshev ha progettato dei CubeSat, capaci di assemblarsi durante il viaggio e di arrivare a destinazione in soli 25 anni, il che implica una velocità di fuga iperbolica di oltre 25 UA all'anno. Come? Quasi tuffandosi verso il Sole, effettuando la cosiddetta manovra di Oberth che ricorda vagamente i viaggi nel tempo di Star Trek! Tuttavia, il team del JPL, non disponendo della velocità warp, ha scelto le vele solari come propulsione iniziale. D'altra parte, i metodi chimici non forniscono più di 3-4 UA all'anno, mentre il solare termico e persino il nucleare termico porta solo a 10-12 UA all'anno, ancora insoddisfacenti per questo obiettivo.
Quello eseguito dai CubeSat sarebbe una sorta di assist gravitazionale, simile alle spinte ricevute dalla Parker Solar Probe della NASA ma il documento esamina le possibilità del perielio a 15 e 10 raggi solari, una manovra che metterebbe a dura prova sia le vele solari che l'elettronica di bordo che dovrebbe essere molto più schermata rispetto a quella delle missioni standard.
Un altro problema sarebbe coordinare una flotta di piccoli veicoli durante il fly-by. Dopo il perielio, i nanosatelliti, con una massa di 10-20 chilogrammi ciascuno, si assemblerebbero in volo, in prossimità dell'orbita terrestre, sganciando le vele solari e agendo poi come un'unica navicella. I lunghi tempi della fase di crociera, offrirebbero la possibilità di recuperare eventuali errori senza problemi. Una volta in SGL il veicolo composito dispiegherebbe il telescopio e offrirebbe un imaging multipixel di un esopianeta interessante entro i 100 anni luce di distanza. Quale, è ancora al centro di dibattito.
Traiettoria verso SGL per TRAPPIST-1
Il documento sottolinea che il telescopio da 1 metro, necessario per questa missione, al momento non può essere prodotto con massa e volume adatti. Una missione di questo tipo richiederebbe qualcosa come un veicolo spaziale da 100 chilogrammi, che a sua volta avrebbe bisogno di vele solari di dimensioni estreme per raggiungere la velocità target di 20 UA all'anno o superiore.
In CubeSat assembleti userebbero un RPS (sistema di alimentazione a radioisotopi) in cui il calore in eccesso verrebbe utilizzato per mantenere in equilibrio termico la navicella.
La fase scientifica durerebbe 10 anni.
Non si sa ancora se, dopo la Fase III, il progetto riceverà ulteriori finanziamenti nel prossimo futuro per diventare una missione a tutti gli effetti ma, di sicuro, molte tecnologie necessarie devono ancora essere sviluppate prima che tutto ciò sia fattibile.