"Dopo la formazione, qualcosa si è sicuramente schiantato su questi pianeti rocciosi", ha detto l'astrofisico Sean Raymond dell'Università di Bordeaux in Francia.
"Si chiama bombardamento, o accrescimento tardivo, e ci interessa, in parte, perché questi impatti possono essere un'importante fonte di acqua e di elementi volatili che favoriscono la vita".

Nello studio pubblicato su Nature Astronomy, Raymond e colleghi del progetto CLEVER Planets della Rice University, finanziato dalla NASA e altre sette istituzioni, hanno utilizzato una modellazione computerizzata per esplorare quanti e che tipo di impatti i pianeti avrebbero potuto sopportare senza perdere l'armonia orbitale.

 

TRAPPIST-1

Questo sistema planetario prende il nome dal TRAPPIST (TRAnsiting Planets and PlanetesImals Small Telescope), un telescopio robotico di 60 centimetri di diametro installato all’Osservatorio dell’ESO a La Silla in Cile, con cui a maggio 2016 vennero scoperti i primi tre pianeti, attorno alla nana ultra-fredda 2MASS J23062928-0502285 nata circa 7 miliardi di anni fa, situata a circa 40 anni luce di distanza dal Sole nella costellazione dell'Acquario. I pianeti furono convalidati con osservazioni di follow-up e da diversi telescopi, tra cui lo Spitzer che ne riconfermò due e ne individuò altri cinque, portando il numero totale a sette.

I sette pianeti sono indicati con delle lettere da b a h in base alla loro distanza dalla stella e orbitano in risonanza. Ciò significa che, sebbene ogni pianeta impieghi un tempo diverso per completare un'orbita, a coppie si incontrano regolarmente di nuovo nel punto di partenza. Ad esempio, per ogni 8 orbite completate dal pianeta TRAPPIST-1 b, che è il più vicino alla stella, il pianeta c compie 5 giri, il pianeta d 4 e il pianeta e 2 orbite. E, nella nuova ricerca, gli scienziati affermano che questa armoniosa danza orbitale non sarebbe possibile se il sistema fosse stato sottoposto ad un pesante bombardamento da parte di altri corpi celesti.


Come si fa a quantificare gli impatti per un esopianeta?

Decifrare la storia degli impatti dei pianeti è già difficile nel nostro Sistema Solare, figuriamoci nei sistemi distanti.
"Sulla Terra, possiamo misurare alcuni tipi di elementi e confrontarli con i meteoriti", ha detto Raymond. "Questo è quello che facciamo per cercare di capire quanta roba si è abbattuta sul nostro pianeta dopo che la formazione si era per la maggior parte conclusa". Ma questa tecnica non può essere utilizzata per studiare il bombardamento sugli esopianeti.
"Non riceveremo mai meteoriti da loro", ha detto. "Non vedremo mai crateri su di loro. Quindi cosa possiamo fare?". E qui entra in gioco la speciale configurazione orbitale di TRAPPIST-1.

"Non riusciamo a dire esattamente quanta roba ha colpito uno di questi pianeti ma, vista questa speciale configurazione di risonanza, possiamo porre un limite superiore a questi eventi", ha detto Raymond. "Possiamo dire: non possono essercene stati più di così. E, in questo modo, abbiamo scoperto che quel limite superiore è in realtà abbastanza piccolo".

"Abbiamo capito che dopo che questi pianeti si sono formati, sono stati bombardati solo da manciata piccolissima di cose", ha detto. "È una cosa fantastica" ed è un'informazione importante che potrebbe avere implicazioni sull'abitabilità.
"Se un pianeta si forma presto ed è troppo piccolo, come la Luna o Marte, non può accumulare molto gas dal disco", ha detto il coautore Rajdeep Dasgupta.

Il team di ricercatori statunitensi ed europei ha simulato l'evoluzione del sistema TRAPPIST-1.

Il modello suggerisce che i pianeti devono essersi formati molto presto e molto velocemente, in circa un decimo del tempo impiegato dalla nostra Terra per nascere attorno al Sole.

Quando il disco protoplanetario attorno a TRAPPIST-1 è scomparso, questi pianeti stavano già orbitando vicino alla loro stella madre più o meno nella posizione attuale.
Gli scienziati, infatti, ritengono che i dischi protoplanetari, pieni di gas e polvere, esistano solo per pochi milioni di anni dopo la formazione di una nuova stella e Raymond ha affermato che ricerche precedenti hanno dimostrato che catene risonanti di pianeti come TRAPPIST-1 si formano quando i giovani pianeti migrano vicino alla stella prima che il disco scompaia. Questo perché è proprio la forza gravitazionale del disco a spingere i pianeti nella risonanza orbitale.

Un impatto di un corpo di grandi dimensioni, simile a quello (o a quelli) subito dalla Terra quando è nata la Luna, avrebbe sicuramente interrotto questa danza orbitale sincronizzata.


Le implicazioni dello studio

Gli scienziati sperano che comprendere l'intensità del bombardamento di rocce spaziali nelle prime fasi della vita di un pianeta possa aiutarli a capire la composizione chimica del pianeta stesso.
Nel caso della Terra, si ritiene che molti elementi chimici, inclusa l'acqua, siano stati introdotti dall'impatto di comete, asteroidi e meteoriti. Si ritiene anche che la collisione che ha creato la Luna abbia consegnato la maggior parte dell'attuale carbonio e azoto al nostro pianeta, entrambi prerequisiti essenziali per l'esistenza della vita.

Attualmente, gli scienziati sanno molto poco sulla composizione chimica dei mondi TRAPPIST-1. Comprendere la quantità di rocce spaziali che si sono schiantate contro di essi potrebbe migliorare le stime.
"Oggi abbiamo alcuni vincoli sulla composizione di questi pianeti, come quanta acqua possono avere", ha detto Andre Izidoro, un astrofisico della Rice University di Houston e coautore del documento."Ma il margine di errore è ancora molto ampio".
"Ad esempio, se uno di questi pianeti ha molta acqua, diciamo il 20% di frazione di massa, l'acqua deve essere stata incorporata presto, durante la fase gassosa", ha detto Izidoro. "Quindi, bisognerà capire che tipo di processo potrebbe aver portato l'acqua su questo pianeta".

Per esempio, i mondi TRAPPIST-1 potrebbero essersi già formati da materia contenente più idrogeno e avere naturalmente più acqua della Terra, anche senza bombardamento.
"Per il sistema TRAPPIST-1, abbiamo questi pianeti di massa terrestre che si sono formati presto", ha affermato Dasgupta. "Quindi una potenziale differenza, rispetto alla formazione della Terra, è che potrebbero avere, fin dall'inizio, un po' di atmosfera di idrogeno e non hanno mai subito un impatto gigantesco tardivo. E questo potrebbe cambiare molto l'evoluzione in termini degassamento, perdita volatile e altre cose che hanno implicazioni per l'abitabilità".


Nel prossimo futuro

In questo momento, gli scienziati hanno strumenti limitati per questo tipo di osservazioni. Ma nuovi osservatori come il James Webb Space Telescope, che inizierà le operazioni nel 2022 e sarà il più potente telescopio spaziale mai costruito, e il completamento nel 2024 dell'Extremely Large Telescope presso l'European Southern Observatory, potrebbero aiutare a completare il puzzle.