La ricerca di altre forme di vita nel Sistema Solare è uno dei punti più controversi dell'esplorazione spaziale. Marte ne è un esempio lampante: nonostante da decenni stiamo inviando sonde, lander e rover in loco, con strumenti sempre più evoluti, nessuno ad oggi è stato in grado di confermare o smentire la presenza di forme microbiche sopra o sotto la superficie del pianeta. Le missioni Viling della NASA restituirono risultati dubbi di cui ancora oggi si discute, Curiosity ha individuato molecole organiche complesse e ambienti potenzialmente abitabili, nell'atmosfera marziana sono state rilevate intermittenti emissioni di metano e c'è chi sostiene che i metanogeni potrebbero esserne la fonte, l'ultimo rover della NASA Perseverance ha a bordo uno spettrometro UV Raman che potrà identificare potenziali biofirme e raccoglierà campioni da riportare sulla Terra con una missione di Sample Return. In sostanza, in oltre 40 anni di esplorazione del Pianeta Rosso non siamo stati in grado di trovare o non trovare tracce di vita e passeranno ancora molti anni prima che nei laboratori terrestri arrivi un vero campione di terreno marziano, con la speranza che le analisi sciolgano ogni dubbio. Tuttavia, dovremmo prendere in considerazione il fatto che la vita aliena, su Marte o altrove, possa essere sottilmente o profondamente diversa da come ce la immaginiamo.
Un nuovo studio, guidato dai ricercatori dell'Earth-Life Science Institute (ELSI) presso il Tokyo Institute of Technology, ha sviluppato una tecnica di apprendimento automatico che valuta miscele organiche complesse utilizzando la spettrometria di massa per classificare in modo affidabile sostanze biologiche o abiotiche. Una celebre frase degli anni '60, recitata del comandante Spock, il vulcaniano della celebre saga di Star Trek, è un monito ancora molto attuale: "Non è la vita come la conosciamo o la intendiamo. Eppure è ovviamente vivo; esiste" (stagione 1, episodio 29 "Pianeta Deneva"). Quindi, come possiamo rilevare la vita se fondamentalmente non sappiamo cosa sia la vita e se quella vita è davvero diversa dalla vita come la conosciamo? La fatidica domanda "Siamo soli?" nell'Universo, ha affascinato l'umanità per secoli ma è ancora senza risposta, anche se si trattasse di vita microbica.
La spettrometria di massa (MS) è una delle tecniche principali su cui gli scienziati fanno affidamento per cercare evidenze di vita. Ha il vantaggio di poter misurare simultaneamente una grande moltitudini di composti presenti nei campioni, fornendo così una sorta di “impronta digitale” della loro composizione. Tuttavia, interpretare quelle impronte è complicato. Anche nelle simulazioni dei processi primitivi che dovrebbero aver contribuito ad originare la vita sulla Terra, vengono spesso rilevate molte versioni simili ma leggermente diverse di particolari molecole utilizzate dalla vita terrestre. Inoltre, le biofirme possono essere prodotte talvolta anche da una grande varietà di processi naturali abiotici. Dal momento che non abbiamo ancora un campione consolidato di vita aliena, questo lascia gli scienziati con un paradosso concettuale: la vita terrestre sembra aver fatto delle scelte arbitrarie all'inizio dell'evoluzione e quindi, la vita potrebbe essere costruita diversamente o dovremmo aspettarci che tutta la vita, ovunque, sia costretta a seguire lo stesso percorso che ha seguito sulla Terra? L'idea che la vita debba necessariamente evolversi come è successo sul nostro pianeta potrebbe rilevarsi pregiudizievole e far fallire i nostri metodi di rilevamento.
Gli scienziati dell'ELSI, in collaborazione con il National High Magnetic Field Laboratory (National MagLab) negli Stati Uniti, hanno voluto affrontare questo problema, utilizzando un approccio combinato computazionale, di apprendimento automatico e sperimentale. Utilizzando una tecnica nota come spettrometria di massa a risonanza ciclotronica ionica a trasformata di Fourier (FT-ICR MS) hanno misurato gli spettri di massa di un'ampia varietà di miscele organiche complesse: quelle derivate da campioni abiologici realizzati in laboratorio, miscele organiche trovate nei meteoriti (anch'esse prodotte da processi abiotici), microrganismi coltivati in laboratorio e petrolio non trasformato (che è derivato da organismi vissuti molto tempo fa sulla Terra). Ciascuno di questi campioni conteneva decine di migliaia di composti molecolari discreti, che fornivano un ampio insieme di spettri i quali potevano essere confrontati e classificati.
In contrastato con l'utilizzo più comune della spettroscopia di massa, utilizzata per identificare il picco di ogni specifica molecola contenuta nel composto esaminato, i ricercatori hanno aggregato i dati e hanno esaminato le statistiche generali e la distribuzione dei segnali. Miscele organiche complesse, come quelle derivate da esseri viventi, petrolio e campioni abiologici, presentano "impronte" molto diverse se viste in questo modo. Il team ha quindi inserito i dati grezzi in un algoritmo di apprendimento automatico, scoprendo sorprendentemente che il computer era in grado di classificare accuratamente i campioni come viventi o non viventi con una precisione del 95% circa. Questo risultato è stato ottenuto dopo aver semplificato notevolmente i set di partenza, tenendo conto del fatto che gli strumenti a bordo dei veicoli spaziali hanno generalmente una precisione ridotta rispetto a quelli utilizzati nei laboratori terrestri.
"Questo lavoro apre molte strade entusiasmanti per l'utilizzo della spettrometria di massa ad altissima risoluzione per applicazioni astrobiologiche", ha affermato il coautore Huan Chen del US National MagLab.
L'autore principale Nicholas Guttenberg ha aggiunto: “Sebbene sia difficile, se non impossibile, caratterizzare ogni picco in una miscela chimica complessa, l'ampia distribuzione dei componenti può contenere schemi e relazioni informative sul processo mediante il quale quella miscela è nata o si è sviluppata. Se vogliamo comprendere la chimica prebiotica complessa, abbiamo bisogno di modi di pensare in termini di questi schemi generali - come si verificano, cosa implicano e come cambiano - piuttosto che la presenza o l'assenza di singole molecole. Questo documento è una prima indagine sulla fattibilità e sui metodi di caratterizzazione a quel livello e mostra che anche scartando le misurazioni di massa ad alta precisione, ci sono informazioni significative nella distribuzione dei picchi che possono essere utilizzate per identificare i campioni in base al tipo di processo che li ha prodotti". Ora, il team prevede di proseguire con ulteriori studi per capire esattamente quali aspetti di questo tipo di analisi dei dati consentono una classificazione così efficace.