Conosciamo ormai quasi un milione di asteroidi, la stragrande maggioranza dei quali popolano la fascia principale, oltre l'orbita di Marte; quasi 15000 di essi incrociano però l'orbita della Terra e altri 23 oggetti hanno un'orbita che cade completamente dentro quella terrestre, Quest'ultima categoria, detta ATIRA o IEO (Inner-Earth Object), è già sparuta ma, nel 2012, si ipotizzò l'esistenza al suo interno di un ulteriore gruppo di asteroidi ancora più vicini al Sole, detti VATIRA. Per 8 anni, questa è rimasta solo una "ipotesi di lavoro" ma, il 4 gennaio di quest'anno, la "rassegna crepuscolare" svolta dalla "Caltech's Zwicky Transient Facility" (ZTF), presso lo storico sito di Monte Palomar, ha rivelato un oggetto intorno alla magnitudine 18, che si muoveva di quasi 1° ogni giorno. Le osservazioni fatte nei giorni successivi hanno mostrato che si trattava di un asteroide di circa 2 km, con un'orbita che oscilla tra 0,457 e 0,654 unità astronomiche, dunque ben dentro l'orbita venusiana (a circa 0,72 au dal Sole) e che arriva a una distanza comparabile a quella raggiunta da Mercurio all'afelio (0,459 au).
Regioni celesti osservate durante i 4 mesi della "Twilight Survey" prima dell'alba (a destra) e dopo il tramonto (a sinistra); il giallo indica le regioni osservate più di frequente e, come si vede, la posizione occupata da 2020 AV2 al momento della scoperta cadeva sul bordo estremo dell'area sorvegliata dalla rassegna ZTF. - Credits: Ip et al. "A kilometer-scale asteroid inside Venus’s orbit" - Improvement: Marco Di Lorenzo
Ci si potrebbe chiedere perchè ci è voluto tanto per scoprirlo e la risposta sta proprio nella vicinanza alla stella che ne ostacola l'osservazione, come illustrato anche dalla figura qui sopra. Al momento della scoperta, infatti, l'asteroide era da poco giunto alla massima "elongazione" dal Sole, circa 40°; un angolo così piccolo implica una grande difficoltà di osservazione tramite i comuni telescopi a Terra perchè, quando il Sole è abbastanza basso da garantire un cielo buio, la posizione apparente dell'oggetto risulta bassa sull'orizzonte, meno di 26°, rendendone critica l'osservazione. Ed infatti, nonostante l'interesse generato, è stato perso di vista dopo solo 19 giorni di osservazione, a causa del riavvicinamento apparente al Sole; da allora, non è stato più rintracciato, ma nonostante il breve arco temporale, l'orbita è stata stimata con discreta precisione (Condition Code 7) e, appena sarà possibile osservarlo di nuovo, la situazione migliorerà decisamente. Questo potrebbe avvenire ad inizio Agosto dell'anno prossimo, quando tornerà a sfiorare una elongazione di 40°; e lo farà ancora nell'Ottobre 2022 e nel Settembre 2023.
Credits: Ip et al. "A kilometer-scale asteroid inside Venus’s orbit" - Improvement: Marco Di Lorenzo
Il 23 gennaio, subito prima di essere perso di vista, l'asteroide è stato osservato dal grande telescopio Keck delle Hawaii che è riuscito anche a riprendere uno spettro a bassa risoluzione dell'oggetto, riportato nella figura qui sopra. Come si vede, le misure ben si adattano al tipico profilo di un asteroide di tipo S, ricco di silicati; questa è la tipologia più comune nella regione interna della fascia principale che, secondo i modelli, è proprio il luogo d'origine della famiglia VATIRA. Sempre sulla base di tali modelli, l'albedo superficiale dovrebbe essere intorno al 22% e questo, unito alla luminosità osservata, fa dedurre un diametro di 1,5(±0,5) km per 2020 AV2.
Gli autori, partendo dai dati astrometrici disponibili (139 osservazioni in 19 giorni), hanno utilizzato il programma "Find Orb" by Bill Gray per calcolare i parametri orbitali riportati qui sotto e messi a confronto con quelli calcolati dal JPL e basati sulle stesse osservazioni. Come si vede, le incertezze nel primo caso sono generalmente inferiori (si tratta sempre di fasce di errore 1σ ovvero con una probabilità del 68% di abbracciare il volore corretto).
Credits: Ip et al. "A kilometer-scale asteroid inside Venus’s orbit" - Improvement: Marco Di Lorenzo
Le quantità così stabilite non sono tra loro indipendenti, nel senso che esiste una correlazione tra le regioni di incertezza dei vari parametri. Tale correlazione, espressa da una "matrice di covarianza", è visualizzata tramite il seguente "corner plot" che mostra, per ciascuna coppia di parametri, una ellisse di probabilità; la correlazione tra i due parametri è tanto più forte quanto più l'ellisse risulta schiacciata, avvicinandosi a una retta o una curva.
Credits: Ip et al. "A kilometer-scale asteroid inside Venus’s orbit" - Improvement: Marco Di Lorenzo
A questo punto, siccome le incertezze sull'orbita di qualsiasi asteroide non permettono di fare stime affidabili oltre un orizzonte temporale di pochi secoli (nel migliore dei casi), per studiare l'origine e il destino di un corpo come 2020 AV2 i ricercatori hanno generato una famiglia di alcune centinaia asteroidi virtuali con la una distribuzione statistica dei parametri orbitali che ricalca le suddette regioni di incertezza. Tali corpi sono stati poi lasciati evolvere per 60 milioni di anni intorno alla data attuale, sotto l'influsso delle perturbazioni gravitazionali dei vari pianeti; nella maggior parte delle simulazioni, è risultato che la popolazione dei VATIRA non è stabile e tende ad abbandonare la regione vicina al Sole, finendo addirittura per uscire dal sistema solare! Questo avviene tipicamente su una scala temporale di 20 milioni di anni, per effetto di una serie di incontri estremamente ravvicinati con Mercurio, Venere, Terra e infine Giove. L'evoluzione di un tipico clone di 2020 AV2 è mostrata nei seguenti tre grafici che ne mostrano la distanza dal Sole (in verde quella media, in arancione e blu quelle all'afelio e al perielio).
Credits: Ip et al. "A kilometer-scale asteroid inside Venus’s orbit" - Improvement: Marco Di Lorenzo
Nel caso particolare illustrato, il prototipo di 2020 AV trascorre circa 15 milioni di anni nell'orbita attuale, poi all'epoca +40000 anni si trasferisce su un'orbita "risonante" con un periodo che è i 2/3 di quello venusiano, anche se con ampie oscillazioni che si riducono dopo 10000 anni grazie ad un incontro ravvicinato con Mercurio. La risonanza con Venere mette momentaneamente l'asteroide al riparo da ulteriori incontri ravvicinati con quel pianeta, un po' come succede con Plutone che ha un periodo pari ai 3/2 di Nettuno. Tuttavia, su una scala di alcuni milioni di anni, questo equilibrio viene in genere spezzato e l'oggetto finisce prima o poi per attraversare una serie di orbite caotiche che lo portano verso l'esterno, incrociando l'orbita terrestre e infine quella gioviana e ritrovandosi proiettati su un'orbita iperbolica verso lo spazio interstellare. Lo stesso destino, del resto, è previsto anche per gli asteroidi NEO che attualmente incrociano l'orbita terrestre e che sono destinati ad abbandonare il Sistema Solare nel giro di 10 milioni di anni. Questo, naturalmente, implica l'esistenza di una sorgente che rifornisce continuamente il serbatoio di oggetti osservati o presunti.
Qualche considerazione finale sulla possibilità di rivelare oggetti appartenenti a questa fantomatica famiglia. Se, come probabile, 2020 AV2 è solo la "punta dell'iceberg" e gli altri membri sono più piccoli e magari ancora più vicini al Sole, la loro rilevazione tramite telescopi a Terra sarà praticamente impossibile. L'unica soluzione sarebbe quella di utilizzare telescopi a largo campo nello spazio; se posti in prossimità della Terra, essi dovrebbero possedere sistemi innovativi per schermare la luce solare e riuscire ad osservare regioni a soli 30° dal Sole o anche meno. Un simile risultato si potrebbe realizzare con dei parasole ripiegabili posti all'estremità di supporti allungabili, come mostrato nell'esempio sottostante; si tratta di una lieve complicazione meccanica a fronte di un grande vantaggio osservativo, dato che ne beneficerebbe anche l'osservazione di comete "sun-grazing" e di altri eventi transitori non visibili da Terra. Il concetto peraltro è ulteriormente migliorabile usando un paraluce ancora più lungo, che sfrutti tutta la lunghezze del telescopio e si orienti non perpendicolarmente ai raggi solari (linee nere); esso andrebbe rivestito di celle solari rendendo superflue ulteriori appendici come quelle di HST. Oltre un certo limite, tuttavia, non avrebbe molto senso osservare regioni prospetticamente troppo vicine al Sole perchè il disturbo della luce zodiacale impedirebbe comunque l'avvistamento di asteroidi deboli. Un design alternativo, meno complicato e più compatto, richiede il semplice scorrimento longitudinale del parasole che è comunque sempre posto sul fianco del telescopio, anziché davanti l'apertura come in HST.
Esempio di telescopio spaziale con paraluce orientabile installato all'estremità di supporti che possono ruotare (sono raffigurate le due configurazioni di lancio e operativa) - Copyright: Marco Di Lorenzo
Per confronto, il parasole semplice di cui è dotato Hubble è collegato direttamente al corpo del satellite e non consente di inquadrare regioni poste a meno di 45° dal Sole, altrimenti la luce solare diretta penetrerebbe all'interno del tubo del telescopio accecandone gli strumenti. Purtroppo, neanche i futuri telescopi James Webb e Roman (già WFIRST) non sono progettati per poter osservare regioni prospetticamente vicine al Sole. Una soluzione ancora migliore sarebbe quella di dotare di telescopi, più piccoli ma sempre a largo campo, le future missioni destinate a Mercurio o al Sole; in effetti, la Parker Solar probe ha delle fotocamere che inquadrano lateralmente le regioni più esterne della corona solare ma probabilmente esse non sono abbastanza sensibili per cercare piccoli asteroidi a decine di milioni di km. Una missione che il sottoscritto ha in mente fin da quando era un ragazzo consiste nell'inviare 4 sonde in orbita sincrona con la rotazione media solare (circa 28 giorni) a 27 milioni di km dalla stella; si tratta di una distanza ridotta ma perfettamente sostenibile con adeguate protezioni termiche, come ha dimostrato la sonda Parker che, già nel suo primo perielio, è arrivata 2,2 milioni di km più vicina al Sole senza problemi. I satelliti andrebbero disposti in posizioni diametralmente opposte su due diverse orbite, una equatoriale e l'altra polare e questo richiederebbe complesse manovre, da realizzare tramite una serie di "gravity assist" oppure con l'aiuto di vele solari o motori a ioni. In compenso, si avrebbe una copertura praticamente completa, tridimensionale e continua dell'atmosfera solare (in linea di principio, per avere una copertura davvero completa la costellazione dovrebbe comprendere altri due satelliti su un'orbita polare perpendicolare alla altre due; questo consentirebbe di sorvolare i poli ogni settimana ma forse l'aggravio sarebbe eccessivo rispetto ai vantaggi...).
Rete di osservazione solare costituita da 4 satelliti (stelle di diversi colori) su orbite circolari eliosincrone mutuamente perpendicolari - Copyright: Marco Di Lorenzo
L'immagine qui sopra illustra la configurazione dei 4 satelliti in due momenti separati di una settimana; si noti che il satellite in viola, come pure il suo gemello antipodale in arancione, sorvola sempre la stessa regione sul Sole (cerchietto rosso) e questo consente di seguire l'evoluzione delle regioni attive sul Sole in maniera continua; gli altri due satelliti esplorano invece le regioni equatoriali e polari non coperte dagli altri due e lo fanno con una cadenza bi-settimanale. Naturalmente, il Sole non è in scala perchè in realtà dovrebbe apparire quasi 40 volte più piccolo dell'orbita dei satelliti, che ha un raggio di 0,18 unità astronomiche. Ebbene, osservando anche nella direzione opposta al Sole, tali sonde sarebbero nella posizione ideale per osservare non solo gli asteroidi che orbitano tra Mercurio e Venere, ma anche eventuali corpi all'interno dell'orbita di Mercurio!
Riferimenti