"Questa è la prima volta in cui siamo stati in grado di identificare delle strutture e dire 'Guarda, questo non è un vulcano antico ma è attivo oggi, forse dormiente ma non morto'", ha detto Laurent Montési, professore dell’università del Maryland e co-autore del documento pubblicato sulla rivista Nature Geoscience. "Questo studio cambia significativamente la visione di Venere da un pianeta per lo più inattivo a uno il cui interno è ancora agitato e può alimentare molti vulcani attivi".
Sebbene Venere sia noto come il gemello della Terra questa stretta somiglianza ha cessato di esistere quando i due pianeti hanno preso strade evolutive diverse. Ora, Venere è il pianeta più caldo del Sistema Solare pur non essendo quello più vicino al Sole, ma il suo interno è intrinsecamente simile a quello terrestre, con un cuore di ferro e nichel, un mantello dominato da moti convettivi ed una crosta basaltica simile ai nostri fondali oceanici. Tuttavia, in questi anni gli scienziati hanno anche notato che la sua superficie è più giovane rispetto a quella di Mercurio o Marte. Le caratteristiche strutture a forma di corona sono prove di attività geologica rimodellante: si formano quando pennacchi di materiale caldo, provenienti dalle viscere del pianeta, risalgono verso la litosfera, creando caratteristici punti caldi. Tuttavia, fino ad ora si riteneva che questi anelli fossero tracce di attività passate e Venere si fosse sufficientemente raffreddata per rallentare una geologica così esplosiva.
Nel nuovo studio, condotto dell’università del Maryland e dall'Istituto di geofisica del Politecnico di Zurigo, i ricercatori hanno utilizzato dei modelli matematici per creare simulazioni tridimensionali dell'attività termo-meccanica sotto la superficie del pianeta e ricreare il processo di formazione delle corone. I risultati hanno permesso di mappare l'evoluzione delle caratteristiche ad anello e l'identificazione di quelle recentemente attive, fornendo la prima prova che l'interno del pianeta sta ancora ribollendo. "Siamo in grado di confermare che almeno 37 corone sono state attive di recente", ha dichiarato Montési.
Le corone attive su Venere sono raggruppate in una manciata di posizioni, il che suggerisce che ci sono aree in cui l'attività interna del pianeta si manifesta maggiormente. Queste zone potrebbero essere di interesse per le future missioni.
La missione EnVision dell'ESA potrebbe partire nel 2023 proprio con l'obiettivo di studiare l'attività geologica di Venere, mentre VERITAS (Venus Emissivity, Radio Science, InSAR, Topography & Spectroscopy), proposta nell'ambito del programma Discovery della NASA, è in corsa per il lancio nel 2026 con l'obiettivo di migliorare la nostra comprensione geodinamica del pianeta, studiarne l'evoluzione e come questa si sia differenziata da quella della Terra, nonché comprendere meglio i pianeti rocciosi in orbita attorno ad altre stelle.