Il buco nero M87 si trova al centro della galassia ellittica gigante Virgo A a 56 milioni di anni luce da noi nell'Ammasso della Vergine, codificata come M 87 da cui il buco nero prende il nome.
Lo scorso anno, il mostruoso oggetto con una massa pari a circa 6,5 miliardi di volte quella del Sole, è diventato popolare per la foto ottenuta dai telescopi della rete Event Horizon Telescope (EHT), un progetto basato sulla tecnica chiamata Very Long Baseline Interferometry (VLBI) in cui, un supercomputer fa da lente al telescopio gigante costituito dai singoli osservatori non collegati fisicamente tra loro ma sincronizzati attraverso orologi atomici ad altissima precisione. EHT utilizza le immagini catturate alla lunghezza d'onda di 1,3 mm da strutture localizzate in tutto il mondo: Stati Uniti, Messico, Cile, Francia, Groenlandia e Polo Sud. Il risultato è un'unica foto con una risoluzione pari a quella che si sarebbe ottenuta con un singolo telescopio delle dimensioni della distanza tra i vari siti di osservazione.
L'immagine di M87 mostra un anello luminoso di emissione di cui è stato possibile risolvere il diametro (circa 40 μas - microarcsecond) ma non lo spessore e la sotto-struttura.
Tuttavia, proprio in prossimità dell'orizzonte degli eventi, il confine che si trova esattamente alla distanza in cui la “velocità di fuga” dalla massa che costituisce il buco nero eguaglia la velocità della luce (per approfondimenti si rimanda all'articolo dedicato), si forma un'anello costituito da un concentrato di fotoni che si addensano a causa della fortissima attrazione gravitazionale. Questo cerchio luminoso racchiude in sé l'impronta digitale del buco nero: le sue dimensioni e forma permettono di codificare la massa e la rotazione (o spin) dell'oggetto. Le immagini EHT sono state un primo importante passo per studiare tale caratteristica e per trasformare quella che finora è stata "una materia dalle profonde implicazioni teoriche, in una scienza sperimentale", come ha dichiarato nella press release Alex Lupsasca dell'Università di Harvard.
In base alla teoria della relatività generale, quindi, all'interno dell'immagine irrisolta di M87, si trova un sottile "anello di fotoni", composto da una sequenza infinita di sotto-anelli simili ed indicizzati in base al numero di orbite compiute dai fotoni attorno al buco nero. Quando questi si avvicinano alla zona d'ombra diventano sempre più stretti e più deboli, con l'aumentare del numero delle orbite. Ma i sotto-anelli sottili possono produrre firme forti ed universali rilevabili dai radiotelescopi interferometrici a lunga base: "mentre l'acquisizione di immagini di buchi neri richiede normalmente molti telescopi distribuiti, i sotto-anelli sono perfetti da studiare usando anche solo due telescopi molto distanti tra loro. Aggiungere un telescopio spaziale all'EHT sarebbe sufficiente", ha affermato Michael Johnson del Center for Astrophysics | Harvard and Smithsonian (CfA).
Lo studio "Universal interferometric signatures of a black hole’s photon ring" è stato pubblicato sulla rivista open-access Science Advances.
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