Le osservazioni sugli oggetti scoperti negli ultimi anni oltre l'orbita di Nettuno evidenziano una serie di anomalie legate alla categoria di Oggetti Trans-Nettuniani più esterni ed estremi (e-TNO), tra cui il celebre Sedna: oltre ad avere elevata distanza al perielio (oltre 70 unità astronomiche), le loro orbite tendono ad avere elevata inclinazione (oltre 50° rispetto all'eclittica) e una curiosa concentrazione in termini di orientamento dell'asse maggiore. Tali peculiarità orbitali vanno a cozzare con i modelli e le simulazioni, secondo i quali esse dovrebbero scomparire a causa dell'interazione con i pianeti giganti nel corso di decine di milioni di anni. Le anomalie degli e-TNO suggeriscono che ci sia almeno un corpo sconosciuto che li perturba, con una massa probabile tra 5 e 15 volte la massa terrestre (M⊕) e una distanza dal Sole compresa tra 300 e 1000 Unità Astronomiche. Tuttavia, nonostante le dimensioni ragguardevoli, comprese tra quelle di una "super-Terra" e quelle di Nettuno, nessuna "survey" nel visibile, nell'infrarosso e nelle micro-onde ha ancora rivelato questo misterioso pianeta e l'assenza comincia a destare qualche sospetto. In particolare, come si vede nella figura di apertura, la rassegna fatta dal satellite infrarosso WISE della NASA ha già escluso, 5 anni fa, la presenza di un pianeta con quelle caratteristiche (ellisse gialla), a meno che esso non abbia proprietà insolite e, magari, non sia un vero pianeta.
D'altro canto, sempre negli ultimi anni, il progetto OGLE ha rivelato un eccesso di 6 eventi di "microlensing" che si manifestano come un caratteristico innalzamento di luminosità per qualche ora nella luce di una stella nel campo inquadrato; finora, tali eventi erano stati interpretati come dovuti alla deviazione relativistica della luce da parte di pianeti extrasolari "erranti" nello spazio interstellare, presumibilmente espulsi da sistemi planetari in formazione e con masse che cadono nell'intervallo 0.5M⊕÷20M⊕, intervallo che in effetti abbraccia quello ipotizzato per il Pianeta X. Un'ipotesi altrettanto valida, però, è che a deviare la luce non siano i "Free Floating Planets" (FFP), bensì buchi neri di massa planetaria, indicati come "Buchi Neri Primordiali" (PBH).
Il telescopio "Optical Gravitational Lensing Experiment" (OGLE) a Las Campanas, in Cile - Credits: KszuloFotki (Krzul's Photo Gallery)
E' proprio da questa ipotesi che prende le mosse il lavoro di due ricercatori, J.Scholtz e J.Unwin; a Settembre, essi hanno pubblicato su ArXiv un articolo che prende in esame i meccanismi di possibile cattura di un buco nero primordiale da parte del Sistema Solare e le conseguenze della sua interazione con la materia oscura.
Un buco nero primordiale ha una massa relativamente piccola rispetto a quelli cui siamo abituati, che in genere vanno da alcune volte la massa del Sole per i buchi neri stellari fino ai miliardi di masse solari dei buchi neri super-massicci nei nuclei di galassie attive. Un PBH non può essere originato da un collasso stellare ma potrebbe essere nato nelle prime fasi di vita dell'universo, quando la densità era tale da favorire una violenta concentrazione di materia a partire da una fluttuazione di densità; per questo motivo, tali oggetti vengono chiamati primordiali. La loro esistenza venne ipotizzata a metà degli anni '70 quando si cercò di spiegare i "lampi gamma" osservati dai satelliti con l'esplosione di "mini buchi neri" primordiali di 1,73·1012 kg; si tratta di una massa paragonabile a quella di una collina o di un asteroide come Apophis e, secondo la teoria di Hawking, tali oggetti dovrebbero "evaporare" in un tempo pari all'età dell'universo, dunque nell'epoca attuale; dato che la potenza emessa sotto forma di radiazione di Hawking va con l'inverso del quadrato della massa, negli ultimi secondi di vita un simile mini-buco nero finirebbe per trasformare la sua massa in radiazione, generando appunto un lampo di raggi gamma ad alta energia. Anche se questa spiegazione si è poi rivelata sbagliata, i buchi neri primordiali potrebbero esistere davvero e la loro presenza è stata invocata a più riprese per spiegare la natura della materia oscura o altri paradossi osservativi; in ogni caso, le osservazioni pongono limiti stringenti alla loro densità media. Ad esempio, sulla base della frequenza di microlensing osservata da OGLE, si può dedurre che la loro densità nei dintorni del Sole deve essere compresa tra lo 0,5% e il 10% della densità della materia oscura, essendone quindi un costituente "minoritario".
Tornando all'articolo, i due autori fanno notare una interessante coincidenza: i buchi neri primordiali generati quando ancora l'Universo era dominato dalla radiazione dovrebbero proprio avere masse dell'ordine di quella terrestre (≈1025 kg), almeno sulla base delle transizioni di fase legate alla forza elettro-debole unificata.
I due ricercatori mettono poi a confronto le probabilità con cui il sistema solare potrebbe catturare un PBH invece di un FFP e giungono alla conclusione che, qualora i secondi esistessero davvero, le probabilità sono basse ma comparabili nei due casi. Più in dettaglio, la cattura di un pianeta nelle regioni esterne del sistema solare avverrebbe più facilmente se il Sole attraversasse una regione di intensa formazione stellare ("stellar nursery") ma con altrettanta facilità lo perderebbe a causa dei numerosi passaggi ravvicinati con altre stelle. L'eventualità che il nono pianeta, invece di essere stato catturato dall'esterno, si sia formato in una regione periferica del sistema solare o sia migrato dall'interno attraverso incontri ravvicinati con Urano e Nettuno è altrettanto improbabile.
D'altro canto, un buco nero primordiale può venire catturato ovunque all'interno dell'alone galattico, dato che la distribuzione densità per tali oggetti non dovrebbe ricalcare quella delle stelle, quanto piuttosto quella della materia oscura. Il processo di cattura, in ogni caso, non è affatto banale poiché normalmente un oggetto interstellare che si avvicina al Sole finisce per allontanarsene con velocità simile a quella di arrivo, come dimostrano i recenti casi di 1I/Oumuamua e 2I/Borisov. Affinchè ci sia una cattura, è necessario che l'energia cinetica dell'oggetto venga in qualche modo dissipata; questo può avvenire tramite scambio di momento angolare durante un incontro estremamente ravvicinato con un pianeta (la cui orbita verrebbe comunque stravolta rischiando a sua volta di perdersi nello spazio esterno) oppure per un processo di frizione di qualche genere. La cattura di un PBH offre una ulteriore possibilità in questo senso, dato che il buco nero dovrebbe essere circondato da un alone di materia oscura ampio circa 8 unità astronomiche, quasi quanto l'orbita di Saturno. Durante un incontro ravvicinato con il sistema solare, questo alone potrebbe deformarsi per effetto mareale, dissipando una parte di energia e favorendo la cattura, un po' come avviene, su scala molto maggiore, per le galassie interagenti che finiscono per fondersi. Gli autori non si addentrano in questo aspetto, rimandando la trattazione a futuri lavori, però sottolineano che l'alone di materia oscura potrebbe essere provvidenziale anche sotto un altro aspetto, quello della rivelazione indiretta del PBH.
Un buco nero primordiale di 5 masse terrestri è un oggetto microscopico (come vedremo tra poco) e anche la radiazione di Hawking emessa è trascurabile, poiché corrisponde a una temperatura superficiale di soli 4 milliKelvin. Tuttavia, l'enorme alone di materia oscura attorno ad esso porterebbe a frequenti annichilazioni delle particelle WIMP vicino all'orizzonte degli eventi, con conseguente emissione di radiazioni energetiche. Pertanto, gli autori sottolineano che le future "survey" di raggi X, raggi gamma ed anche raggi cosmici potrebbero davvero rivelare tale buco nero, soprattutto se si riuscisse a vederne il lento movimento nella volta celeste (un oggetto in orbita a 500 unità astronomiche completa una rivoluzione ogni 11000 anni, spostandosi di quasi 2 primi d'arco ogni anno).
Per concludere, una curiosità rimarchevole nell'articolo è l'illustrazione, semplice ma disarmante, del buco nero da 5 M⊕ in scala 1:1. Riproponiamo la porzione della pagina di seguito, con l'avvertenza che, per rispettare le proporzioni reali (con disco di 9 cm di diametro), la figura intera andrebbe stampata verticalmente in A4 oppure visualizzata sullo schermo in maniera da essere larga circa 21cm.
Credits: J.Scholtz e J.Unwin: "What if Planet 9 is a Primordial Black Hole?" / ArXiv.org