Prendendo ispirazione da una ricerca pionieristica sulla vita marziana, un team greco sta sviluppando un dispositivo per rilevare queste "specie reattive dell'ossigeno" e trasformarle in ossigeno respirabile.
“Tracciare specie così altamente reattive sarà importante per i coloni marziani e lunari, non solo perché la loro presenza sarà ostile all'insediamento umano e alla crescita delle colture, ma anche perché cancelleno ogni traccia di possibili bio-fossili marziani", ha detto il Prof. Christos Georgiou del Dipartimento di Biologia dell'Università di Patrasso.
Dal 1976 a oggi
I lander americani Viking che atterrarono su Marte nel 1976 effettuarono esperimenti sulla ricerca della vita marziana i cui risultati sono ancora dibattuti.
L'esperimento Labeled Release (LR), uno dei quattro esperimenti biologici a bordo dei lander Viking, mescolava un campione di suolo marziano con sette molecole nutrienti "etichettate" con un isotopo radioattivo del carbonio (C14), sciolte in acqua. Se batteri o altre forme di vita avessero metabolizzato i nutrienti, avrebbero rilasciato ossigeno, metano o anidride carbonica anch'essi radiativi, confermando implicitamente la presenza di forme di vita. L'esperimento fu condotto da entrambi i lander: il primo usò un po' di terreno esposto alle luce del Sole ed alle intemperie marziane, il secondo lo prelevò da sotto una roccia (quindi protetto dai raggi UV, potenzialmente nocivi per ogni forma di vita n.d.r.). Per tutte e due i Viking i risultati furono positivi, anche dopo che il campione venne sterilizzato a 160°C. Una circostanza che sollevò molti dubbi. Dubbi supportati dal fatto che gli altri esperimenti di bordo non trovarono alcun segno di altre sostanze organiche.
"L'interpretazione principale oggi è che i risultati fossero dovuti a una reazione chimica abiotica", ha osserva il Prof. Elias Chatzitheodoridis del Dipartimento di Scienze Geologiche dell'Università Tecnica Nazionale di Atene.
"La produzione di ossigeno è stata causata da una specie reattiva dell'ossigeno che reagiva con l'acqua nel liquido nutritivo", ha aggiunto Georgiou. “Tali specie reattive possono provenire da sali metallici di superossidi, perossidi o perclorati, l'ultimo dei quali è stato effettivamente rilevato dal lander Mars Phoenix della NASA nell'Artico marziano nel 2008".
Il Dipartimento di Biologia dell'Università di Patrasso ha già condotto esperimenti sulla formazione di specie reattive dell'ossigeno in campioni di suolo provenienti dai deserti aridi del Mojave e di Atacama, simili a Marte, nonché dai sali di perclorato esposti alle radiazioni.
"Queste specie reattive dell'ossigeno vengono create da un'intensa irradiazione ultravioletta sulla superficie, in particolare di minerali fratturati e frantumati da temperature estreme e micrometeoriti, dove risulta una superficie con molti legami chimici liberi", ha spiegato il prof. Georgiou.
Il team si è quindi reso conto che proprio il modello degli esperimenti Viking avrebbe potuto rilevare queste specie reattive dell'ossigeno e ha proposto l'idea all'ESA.
I campioni di terreno posti in un dispositivo microfluidico, potrebbero produrre ossigeno rilevabile attraverso la bagnatura con acqua e l'azione dei catalizzatori.
Crediti: National Technical University of Athens / University of Patras
Il progetto
“Il progetto, supportato dall'Technology Development Element dell'ESA, includerà la progettazione iniziale di un reattore su larga scala per estrarre periodicamente ossigeno dal suolo, ciò che chiamiamo 'oxygen farming'. L'irradiazione solare UV ripristinerà quindi la fornitura di ossigeno nel giro di poche ore. La stima è che un'area di 1,2 ettari produrrebbe abbastanza ossigeno per mantenere in vita un singolo astronauta".
Il team sta cercando di creare i propri simulanti in ambienti controllati: "Utilizzeremo inoltre meteoriti lunari e marziani per testare lo strumento ma prevediamo anche di richiedere alla NASA campioni lunari effettivi per i test".
"L'obiettivo è che il rilevatore sia più piccolo di un libro tascabile", ha detto il dott. Ioannis Markopoulos, a capo dell'azienda 01 Mechatronics, che progetta di produrre un prototipo.
"Le specie reattive dell'ossigeno sono prodotte nei nostri corpi, quindi i nostri corpi producono antiossidanti in risposta", ha aggiunto il prof. Georgiou. “Possono anche essere prodotti attraverso suoli terrestri aridi esposti alle radiazioni e durante le attività minerarie. Nello spazio saranno prodotti dalla radiazione cosmica che interagisce con le superfici metalliche, come i serbatoi di acqua e cibo, e l'ossigeno in cabina, quindi un tale rivelatore sarà sicuramente utile per monitorare l'ambiente del veicolo spaziale".
Questo progetto corre gli altri che dovranno dimostrare che è possibile creare ossigeno in situ sulla Luna.
L'ESA ha recentemente selezionato un consorzio di aziende, composto da AVS, Metalysis, Open University e Redwire Space Europe e guidato da Thales Alenia Space nel Regno Unito, per progettare e costruire il primo carico utile sperimentale per estrarre ossigeno dalla superficie della Luna.